Alla ricerca di una formazione per l’impresa sociale: il contributo dell’analisi istituzionale e dell’interazionismo simbolico

di Gianni De Giuli

Il 22 settembre 2020 ho partecipato all’incontro “Istituzioni e pandemia: elementi di analisi istituzionale e gruppo operativo”, a cura del Gruppo internazionale di ricerca su Pandemia ed Istituzioni. In quella sede c’è stata, da parte di alcuni partecipanti – istituzionalisti francesi e svizzeri – un ricordo molto sentito di Georges Lapassade e dei temi concernenti l’Analisi istituzionale.  Si tratta di contenuti e pratiche che nel corso degli anni 90 avevo appreso e sviluppato direttamente con Lapassade nel corso dei suoi lunghi soggiorni in Italia.

Nelle giornate successive all’incontro, discutendone con Leonardo Montecchi e Luciana Bianchera, ho ripensato al resoconto di un’esperienza formativa che avevo realizzato con Lapassade nel ‘96. Ne era nato un articolo che era stato pubblicato su Pratiques de Formation, la rivista degli istituzionalisti francesi presso l’Università di Parigi 8 e successivamente in Italia su Psicologia e Lavoro. Leonardo e Luciana non lo conoscevano e dopo averlo letto mi hanno chiesto di ripubblicarlo, trovandolo evidentemente ancora stimolante.

Nel farlo ho pensato di levare la parte introduttiva, ormai datata, centrata sul dibattito, in quegli anni molto vivo, sul ruolo del terzo settore nella ridefinizione di welfare e protagonismo delle organizzazioni sociali, mantenendo invece il resto dell’articolo che presenta direttamente l’analisi istituzionale in azione: un incontro di formazione condotto con il metodo dell’intervento socioanalitico.

Lapassade all’epoca non praticava quasi più la socioanalisi, raccontava che nel declino storico che il “movimento dei gruppi” stava attraversando anche la socioanalisi aveva perso la sua spinta propulsiva. Inoltre, come viene evidenziato sin dal titolo dell’articolo, altre correnti teoriche e metodologiche – in primis etnometodologia e interazionismo simbolico – dovevano affiancarsi alla tradizionale AI, non solo nello spiegare i processi sociali a livello microsociologico ma direttamente nella pratica della formazione. Ed era stata proprio la curiosità di sperimentare nuovi dispositivi formativi che avevano spinto Georges ad affiancarmi nella conduzione dei due seminari di cui tratta l’articolo.

Lapassade, che ne era stato il fondatore, era allora interessato a vedere come superare l’analisi istituzionale, integrandola con nuove conoscenze e metodologie.

Rileggendo oggi l’articolo è bello riconoscere come i concetti e il metodo dell’AI mantengono tutta loro capacità di indicare possibili alternative in primo luogo nella formazione di gruppi, organizzazioni e istituzioni.

 

Alla ricerca di una formazione per l’impresa sociale:
il contributo dell’analisi istituzionale e dell’interazionismo simbolico

Modelli formativi e organizzazioni

Nella formazione degli adulti che operano, a vari livelli, nelle organizzazioni del lavoro, i metodi prevalenti provengono dalla psicosociologia dei gruppi. Essi traggono le proprie origini teoriche dalla dinamica di gruppo lewiniana e, per ciò che riguarda le tecniche, dal dispositivo del T group, che possiamo sinteticamente descrivere come un seminario di sensibilizzazione alle relazioni di gruppo che si sviluppa attraverso l’autoanalisi permanente nel “qui e ora” (hic et nunc) del vissuto dei partecipanti e in cui il compito del conduttore è quello di facilitare l’autoanalisi utilizzando uno stile non direttivo. Il conduttore quindi non “fa lezione” sulla dinamica di gruppo, ma anima il seminario con brevi interventi che descrivono i processi in corso nella costruzione progressiva della situazione di gruppo.
Su queste basi è stato elaborato un quadro teorico e pratico per la formazione, che si è sviluppato soprattutto nell’ambito aziendale e manageriale a partire dagli anni ‘60 e che è stato progressivamente esteso anche ad altri contesti organizzativi.
Così anche nel cosiddetto terzo settore i metodi della formazione fanno spesso riferimento a quel modello consolidato.


Ci si chiede allora se si debba trasferire un metodo di formazione utilizzato con successo per il management aziendale sul terreno della formazione di dirigenti di cooperative sociali. Si deve definire una cooperativa come un’azienda? Si deve analizzare come tale nel suo funzionamento? Altrimenti quale formazione potrebbe convenire alle cooperative? E’ possibile proporre un modello alternativo?
Queste domande, che mi pongo da tempo, sono state al centro di un’ esperienza formativa realizzata con Georges Lapassade, che in questo articolo voglio descrivere e commentare. Alla descrizione si aggiungono le riflessioni che abbiamo sviluppato successivamente, ripensando all’intervento formativo, e che ci consentono di individuare alcune prospettive di ricerca per una diversa pratica della formazione.

Nei due seminari da noi animati, l’impostazione socioanalitica e i temi della pedagogia istituzionale che Lapassade ha cominciato ad elaborare fin dagli anni ‘60, proprio a partire da una critica del T group, sono stati ulteriormente rielaborati e contaminati con concetti e categorie analitiche che provengono dalla corrente sociologica dell’interazionismo simbolico. I seminari hanno dunque rappresentato un momento di ricerca e sperimentazione e alcuni elementi teorici possono essere estrapolati dalla descrizione delle due esperienze, pur essendo lontani da una formulazione teorica definitiva e limitandoci a riconoscere i possibili sviluppi per la formazione a partire dalla connessione di due approcci che hanno un comune taglio microsociologico.

L’analisi istituzionale in un gruppo in formazione

I seminari erano rivolti a dirigenti di cooperative sociali ed erano centrati sui temi del lavoro di gruppo e sul rapporto tra organizzazione e partecipazione nelle cooperative.
Il committente era un consorzio nazionale (CN) di cooperative che raccoglie al proprio interno numerosi consorzi locali  (CL) costituiti a loro volta dalle coop cui appartenevano, appunto in qualità di dirigenti, i partecipanti ai nostri seminari.
Era la prima volta che il CN organizzava un’ attività formativa specifica per i dirigenti del Sud: un percorso articolato in dieci seminari con l’obiettivo di sviluppare le competenze individuali e collettive per lo sviluppo delle organizzazioni.

Durante il primo seminario da noi condotto, il tema del gruppo è stato trattato secondo il dispositivo socioanalitico:
– Un dispositivo formativo che si sviluppa a partire dall’analisi permanente di ciò che il gruppo produce ma dove, a differenza del T group da cui proviene, non c’è la chiusura del gruppo nell’interazione interna, separato dalle condizioni e dall’organizzazione che ne hanno reso possibile la costituzione e ne hanno predefinito alcune regole di funzionamento.

Ciò significa che il gruppo non è un qualsiasi gruppo che diviene il laboratorio privilegiato per imparare il funzionamento dei gruppi, essendo attraversato dai classici fenomeni e processi (coesione, comunicazione, leadership, decisione etc.) che il T group permette di vivere e autoanalizzare permanentemente nell’hic et nunc. E’ invece un gruppo (“istituito”) di dirigenti di cooperative che fa parte di un’organizzazione nazionale (“istituente”) che ha promosso e realizzato quel corso di formazione. Questo approccio permette pertanto di riconoscere la base invisibile ma presente (“istituzione”) su cui poggia il gruppo in formazione, base che ne regola il funzionamento attraverso un quadro di norme, interazioni, gerarchia e status dei diversi attori che insieme concorrono a realizzare l’intervento formativo.

All’inizio questo orientamento “istituzionalista” ha trovato la sua prima formulazione già nel 1962 nella proposta di gestione collettiva dell’orario di formazione di un T Group. L’eterogestione dell’orario della formazione (orario deciso altrove e mandato ai partecipanti) era in contraddizione con la pretesa di non direttività dei formatori all’interno del gruppo, per superare questa contraddizione si proponeva di gestire l’orario.
Si chiamava allora Analisi Istituzionale:
– l’analisi dell’orario come istituzione interna
– e anche l’analisi della manifestazione di un’istituzione esterna (l’organismo di formazione presente / assente nella situazione, che aveva previsto l’orario di cui il conduttore mandato dall’organizzazione si faceva garante)
Ma nell’ hic et nunc del nostro seminario, ciò che ha rivelato il manifestarsi dell’istituzione esterna è apparso in tutta evidenza con il problema della sede del seminario.
E’ successo infatti, ad un certo punto dei lavori, che una partecipante ha affermato di non gradire la sede dell’incontro successivo, già prevista dall’organizzazione, ed ha proposto che il gruppo la cambiasse.

Trattando questo tema, volendo decidere, loro, la sede della loro formazione, i partecipanti hanno prodotto ciò che nel linguaggio socioanalitico è chiamato un effetto analizzatore.
– L’analizzatore è un evento o un fenomeno che rivela ciò che l’organizzazione determina, che permette ai partecipanti di riflettere e analizzare il significato dell’organizzazione, il suo funzionamento, i rapporti di potere che vi si sviluppano.
E’ stata la discussione sulla sede del seminario successivo, che ha consentito di spostare e sviluppare l’analisi sul rapporto tra organizzazione della formazione (CN e CL) e partecipanti all’evento formativo, tra istituente ed istituiti.
Paradossalmente il corsista che più si opponeva all’idea che fossero i corsisti stessi a decidere la sede del seminario successivo, considerandola una scelta non di loro competenza – perchè da sempre e inequivocabilmente competenza dell’organizzazione – era colui che in veste di dirigente del CL aveva scelto la sede del seminario che stavamo svolgendo.

E’ accaduto qui qualcosa che ha avuto un forte effetto sui i partecipanti: l’organizzazione istituente del percorso formativo (CN in accordo con i diversi CL), che inizialmente veniva percepita come “intoccabile”, totalmente distante, burocrazia plenipotenziaria e non influenzabile dalle richieste dei corsisti, assumeva progressivamente, nel lavoro di analisi, i tratti di un organismo costituito da persone che in alcuni casi erano le stesse che, lì in quel momento, stavano discutendo.
L’analizzatore ha permesso di rivelare il valore di feticcio che viene attribuito alle organizzazioni anche in un settore come quello delle cooperative sociali dove le stesse sono create e controllate dai soci lavoratori, i quali vorrebbero, in questo modo, esprimere forme di autogestione e di superamento della burocrazia.

Ciò che l’analisi mostrava era che in realtà i partecipanti del corso – dirigenti di cooperative e in alcuni casi anche dei consorzi locali che organizzavano quel corso – non si sentivano in potere di decidere nemmeno rispetto al luogo e alla struttura residenziale del corso, che pure pagavano personalmente o attraverso le proprie cooperative.
Il seminario si era chiuso con l’istituzione di un comitato di corsisti a base regionale il cui unico compito era di negoziare con il proprio consorzio locale lo spostamento della sede prevista per l’incontro del mese successivo.
Questa contestazione della sede e la ricerca di una soluzione alternativa deve essere vista come un’espressione di un desiderio collettivo tra i corsisti di gestire almeno un aspetto della loro formazione: non necessariamente i contenuti e i metodi ma almeno la sua base materiale. In questo senso un orientamento di tipo “autogestionario” è stato scelto in quel momento dall’Assemblea dei corsisti.

D’altra parte con questa messa in crisi della sede prevista per il successivo seminario, la formazione acquistava il carattere di un intervento sulla struttura e si passava ad un livello di analisi istituzionale nel senso di analisi dell’istituzione che dall’esterno organizza il dispositivo della formazione. Si produceva, in questo modo ed in anticipo, del materiale per il successivo seminario il cui tema era “Organizzazione e Partecipazione nel sistema cooperativo”.
Il dispositivo costruito nel seminario non ha però funzionato, il comitato si è più o meno autodissolto dopo un tentativo fallito di cambiare la sede.

L’organizzazione dell’autoformazione

A distanza di tre settimane, nel secondo seminario, il primo problema esaminato è quello del comitato e del suo fallimento: il Consorzio locale aveva infatti dichiarato che la richiesta di cambiamento non era di competenza del comitato dei corsisti. Pertanto ci eravamo tutti ritrovati nella città e nell’albergo previsti in origine dal CL e tanto contestata nel seminario precedente.

L’analisi collettiva di questa sconfitta ha evidenziato che:
a) la coordinatrice del comitato per motivi personali ha rinunciato al suo ruolo tentando di trasmettere la sua responsabilità ad un altro membro dello dello stesso comitato che però ha rifiutato affermando di non essere interessato.
b) i membri del comitato non sapevano che il giusto interlocutore per la loro richiesta era il responsabile della formazione (RF) del Consorzio nazionale, credevano che la decisione dipendesse solo dal Consorzio locale e non conoscevano il funzionamento reale della loro organizzazione nazionale. Questa mancanza di conoscenza costituiva un’eccellente materia per aprire un seminario il cui tema era la partecipazione nell’organizzazione.
c) il presidente del Consorzio locale non aveva nemmeno lui tentato di chiarire la situazione organizzativa, comportandosi come il giusto interlocutore a due livelli:
– la sua risposta al comitato:- Non è vostra competenza cambiare sede – poteva significare – E’ mia competenza e non sono disposto a negoziare con voi -.
– ricevendo un fax da un membro del comitato, contenente una proposta di sede alternativa, lo aveva “sequestrato” senza trasmetterlo al responsabile nazionale.
L’analisi ha inoltre indicato che questo pasticcio a livello organizzativo aveva avuto ripercussioni ad altri livelli istituzionali: la direzione del Consorzio nazionale aveva nel frattempo ricevuto un fax del Consorzio locale, poco chiaro, in cui si alludeva ad una “riprogettazione delle modalità organizzative” da parte dei partecipanti, e ciò aveva  provocato una preoccupazione di tipo organizzativo ai vertici del CN.

Questo breve riassunto della prima attività del seminario è un’ ulteriore illustrazione del metodo di lavoro utilizzato: in questo dispositivo non si fa lezione sull’organizzazione, nemmeno simulazioni o altri esercitazioni formative. La formazione si sviluppa a partire dal vissuto del gruppo in relazione con le istituzioni interne ed esterne al seminario (analisi istituzionale e dispositivo socioanalitico).

Un altro aspetto del dispositivo di formazione è che continuamente il gruppo gestisce l’orario del suo lavoro, dopo che l’orario prestabilito del seminario é stato abbandonato perchè poco rispondente ai bisogni dei partecipanti.
Esiste invece un consenso sull’elaborazione progressiva e permanente delle attività e dell’orario, con la sola eccezione delle ore di pranzo e cena, regolate dal personale dell’albergo in cui siamo ospitati.
Durante la seconda giornata Lapassade propone la formazione di un nuovo comitato per gestire con l’Assemblea dei partecipanti i prosssimi seminari nei contenuti e negli aspetti logistici.
Ciò significa che la pratica formativa sull’organizzazione può consistere nella attività organizzativa: sono i corsisti riuniti in Assemblea ad organizzare la propria formazione, utilizzando i formatori come risorse a loro disposizione.
Questo modo di fare, derivato dal T. group si oppone ad un’altra concezione della formazione nella quale i contenuti sono trasmessi dagli insegnanti senza negoziazione del corso con i corsisti.

A questo punto è forse necessario sottolineare che il corso proposto agli stessi corsisti si articola in 10 sessioni già predefinite.
Lapassade precisa che la sua è una proposta pedagogica di un dispositivo di autoformazione per i corsisti che implica la gestione da parte loro anche dei contenuti o almeno la loro negoziazione con il responsabile del corso.
L’ Assemblea comincia discutere la proposta, ma quando dopo una pausa lo staff ritorna in Assemblea scopre che la stessa sta già funzionando senza la presenza dei formatori nel ruolo di animatori. Gli stessi decidono allora di restare fuori e di ritornare solo su invito esplicito dell’Assemblea generale.
Così inizia una fase autogestita del seminario: i lavori proseguono in piccoli gruppi costituiti dall’Assemblea generale senza l’intervento dello staff.
Le proposte che più tardi vengono presentate in Assemblea con lo staff dei formatori sono:

-1°gruppo: ritiene molto utile il metodo dei due seminari basati sull’esperienza vissuta, ma propone di proseguire con il metodo che era stato utilizzato nel seminario di apertura del corso con il responsabile della formazione e che prevedeva il coinvolgimento dei partecipanti attraverso esercitazioni e discussioni di gruppo. Tale metodo (che chiameremo “metodo RF”) è considerato innovativo e coerente con i contenuti dei futuri seminari. Viene accettata l’idea di un comitato che si occupi dei bisogni del gruppo e dei singoli e sia propositivo per la logistica mentre sui contenuti si limiti a possibili integrazioni. Un membro del comitato si dissocia ritenendo il “metodo RF” troppo vicino ad una formazione aziendale.

- 2°gruppo: è favorevole all’autogestione ma senza rottura con chi ha proposto il programma del corso. Si ritiene importante privilegiare le specificità del Sud e trovare un accordo con l’organizzazione anche in merito ai formatori. Considera positiva l’idea di un comitato composto da persone competenti sulla cooperazione sociale al Sud. Viene anche proposta la creazione di un bollettino autofinanziato dalle cooperative per far circolare ed elaborare materiale relativo alle esigenze formative e scambiare più informazioni con il consorzio nazionale. L’idea è quella di un comitato “molto operativo”, a rappresentanza regionale.

- 3°gruppo: D’accordo con il comitato eletto con il criterio della rappresentanza regionale. D’accordo sull’autogestione per discutere su tutto ma non viene ritenuto necessario un cambiamento dei contenuti.

- 4° gruppo: si presenta spaccato: tre corsisti preferiscono il metodo dell’autogestione, gli altri tre il “metodo RF”, per cui propongono un’integrazione dei due metodi, sono anche per un comitato a rotazione e su base regionale

- 5° gruppo: Intende l’autogestione come possibilità di introdurre dei cambiamenti nel percorso formativo. Il comitato deve essere una sorta di CdA dell’Assemblea dei corsisti.

Dai resoconti dei lavori dei gruppi possiamo rilevare nei corsisti una sorta di disorientamento, una dissonanza cognitiva che si risolve nel tentativo di tenere insieme due modelli alternativi di formazione
L’autogestione proposta dai gruppi non appare come un prendere direttamente nelle proprie mani il futuro del percorso formativo, ma ciò deriverebbe, secondo gli stessi corsisti, dall’impossibilità di autogestire contenuti che non si conoscono.
In sostanza la proposta dell’autogestione, così come emerge dalla successiva discussione, non sembra ancora realizzabile.

Praticare un percorso autogestito significa, innanzitutto, passare da una definizione della formazione come prodotto già realizzato e offerto da un’esperto, alla formazione come attività istituente di un gruppo di persone che, facendo lo stesso lavoro, con le medesime funzioni (dirigenti di cooperativa), può individuare i propri bisogni, definire degli obiettivi e organizzare un percorso di formazione utilizzando i docenti nelle modalità e con le funzioni ritenute più appropriate.
Ma nel seminario emerge tutta la difficoltà dei corsisti nel passare da una posizione di “istituiti” ad una di “istituenti”. La formazione è percepita come un’attività a loro esterna i cui contenuti sono sconosciuti, decisi altrove, da formatori che hanno già predefinito i bisogni formativi di quei dirigenti.

Le resistenze alla proposta dell’autogestione portano lo staff a precisare, in modo meno ambizioso, l’idea dell’autoformazione: essa si limiterebbe, in una prima fase, ad una negoziazione dei contenuti del seminario successivo.
Il lavoro è facilitato dal fatto che sono presenti, come membri dello staff, gli interlocutori necessari: il responsabile nazionale della formazione e un altro formatore, previsto come conduttore principale del futuro stage.
Essi potrebbero presentare il programma per poi negoziarne i contenuti, come già proposto la sera prima, ma ancora si riscontra la mancanza di interesse dell’Assemblea.

Le definizioni della situazione

Viene allora riformulata e restituita nell’Assemblea un’ipotesi avanzata dallo staff durante una riunione: l’autogestione potrebbe essere solo un desiderio dello staff, mentre i corsisti partecipano al percorso formativo forse più per incontrare i colleghi e per poter dire di aver fatto il corso, per la propria carriera ed il proprio status (ricordiamo che si tratta del primo percorso formativo per dirigenti di cooperative sociali fatto al sud) indipendentemente dall’interesse per i metodi ed i contenuti.
Saremmo dunque di fronte a obiettivi diversi, che, utilizzando un concetto dell’interazionismo simbolico, portano a diverse “definizioni della situazione”. Ciò significa che i vari partecipanti alla situazione formativa attribuiscono ad essa sensi diversi, la valutano diversamente e si predispongono di conseguenza ad agire diversamente.

Se su tali definizioni non avviene un continuo processo di negoziazione, è reso impossibile non solo un accordo sull’autogestione, ma anche sul modo stesso di procedere nel seminario.
Esempi di ciò ci provengono da due eventi che si succedono nell’ultima parte del seminario.

Il primo caso si riferisce a ciò che accade quando lo staff propone di preparare il primo numero del bollettino proposto da uno dei gruppi la sera precedente, come primo strumento dell’autoformazione. Questa proposta viene accettata, si formano piccoli gruppi che dopo aver lavorato attivamente, ritornano in Assemblea con i loro prodotti scritti.
I risultati sono però poco convincenti, non si avverte un interesse reale attorno al progetto di un bollettino interno al percorso formativo.
Una corsista sostiene che “siamo stati tutti d’accordo sul giornale ma visto come un’esercitazione del seminario e non come bollettino reale”.

Il secondo esempio ci viene dall’ultima seduta dell’Assemblea.
All’inizio due membri dello staff fanno due lunghi interventi di rilettura e analisi del seminario che si propongono come conclusione dello stage, non lasciando spazio alla possibile valutazione dei corsisti che invece ascoltano in un silenzio quasi religioso.
Un altro formatore interpreta questi interventi rifacendosi al concetto goffmaniano del sè, inteso non come originato dalla persona del soggetto ma come prodotto di una messa in scena sociale le cui regole e caratteristiche strutturali determinano le diverse parti recitate dal soggetto stesso. Questo modo di parlare, potrebbe esprimere il bisogno dello staff di presentare sè stesso nei ruoli e nella dignità dello psicosociologo e del sociologo formatore che esibiscono la loro competenza sviluppando un discorso intelligente ed articolato e non solo un’agitazione e un ipeattivismo permanente chiamato formazione.
Questa occupazione del tempo alla conclusione del seminario significherebbe che taluni membri dello staff non accorderebbero molta serietà al progetto di istituire un nuovo comitato rappresentativo dell’Assemblea, compito che invece viene ritenuto importante da questo membro dello staff.

Si decide allora di verificare quanti corsisti sono favorevoli al comitato:
– 10 sono contrari e formulano i motivi della loro opposizione
– 15 sono a favore ma non dicono perché
– mancano 9 partecipanti, non presenti all’ultimo giornata.
I quindici escono dalla sala della riunione e costituiscono il comitato.
Dopo aver eletto un coordinatore, il comitato si è assunto da subito il compito di formulare delle proposte per la continuazione del corso, i contenuti da trattare e le modalità organizzative.
Così si è chiuso il seminario, sciogliendo l’Assemblea Generale.

Un dispositivo per l’autogestione della formazione

Nelle giornate successive al seminario abbiamo lavorato ad un’analisi dell’esperienza. Sono emerse alcune indicazioni che ci consentono di guardare da altri punti di vista al problema della formazione in generale e alle questioni poste dai seminari.

La mia domanda principale era relativa alla difficoltà dei corsisti di accettare la proposta dell’autoformazione che veniva dallo staff dei formatori. Perchè tante resistenze all’ipotesi dell’ autogestione del percorso formativo da parte di persone che nelle loro cooperative si autogesticono quotidianamente il proprio lavoro?

Una risposta la possiamo ricavare ricorrendo nuovamente al concetto di definizione della situazione, partendo da un’osservazione formulata nel 1932 da Willard Waller, il primo a proporre una descrizione della relazione pedagogica nel linguaggio dell’interazionismo simbolico.
Waller, al contrario di Durkheim, sosteneva che la situazione pedagogica era inevitabilmente conflittuale in conseguenza del fatto che i maestri e gli studenti non hanno la stessa definizione della situazione:
– i maestri definiscono la situazione come la vuole la società che rappresentano, considerando che loro sono nella scuola per insegnare, trasmettere delle conoscenze e che gli studenti sono lì per imparare;
– gli studenti invece possono avere altri obiettivi come quello di incontrare amici, divertirsi, fare del baccano, giocare e forse anche apprendere qualcosa.
Durante il seminario era stata formulata l’ipotesi che i corsisti forse partecipavano al corso con altri obiettivi, diversi da quelli dell’apprendimento: ritrovarsi insieme, fare un po’ di vacanza, poter dire di aver preso parte a questo corso, etc..
Questo tipo di osservazione non è stata però sufficientemente tematizzata con i corsisti, anche se i formatori ne hanno parlato tra di loro.

Un’altra referenza è quella di Goffman sulle istituzioni totali quando dice che se nel carcere i prigionieri frequentano regolarmente la biblioteca il direttore sarà portato a considerare che questo significa un progresso. Ma il vero motivo del recluso può essere un altro, per esempio farsi notare positivamente per avere una riduzione della pena e non per arricchire la sua conoscenza.

Ritornando alla nostra situazione di formazione possiamo dire che ci sono diverse definizioni della situazione che si confrontano e che sono formulate in termini di obiettivi divergenti:
a) gli obiettivi del Consorzio nazionale, che ha sempre promosso e organizzato corsi per i dirigenti delle coop, ma mai si è interessato all’autogestione
b) gli obiettivi dei Consorzi locali più legati alla gestione e al controllo della base materiale della formazione, su cui si giocano i rapporti di potere interni ed esterni.
c) gli obiettivi della direzione della formazione dove prevale il bisogno di mantenere gli equilibri esistenti che l’autogestione potrebbe invece mettere in pericolo
d) gli obiettivi dei formatori, interessati a produrre nuovi modelli e nuove sintesi
e) i vari obiettivi dei corsisti

E’ nella relazione tra le diverse definizioni della situazione che avviene il massimo conflitto istituzionale ed è lì che va sviluppata l’analisi.
Su questo piano credo sia possibile progettare un dispositivo di formazione che si ponga sin dall’inizio l’obiettivo di costruire collettivamente una comune definizione della situazione formativa. L’autogestione diviene allora la pratica istituente che si sviluppa a partire da questo lavoro di negoziazione, costruzione e condivisione degli obiettivi, dei metodi, dei contenuti e delle finalità generali della formazione.

Possiamo così riprendere il discorso iniziale e riformulare le domande relative ad un modello formativo alternativo a quello psicosociologico tradizionale: in che modo è possibile fare una formazione utile per organizzazioni che vogliono praticare una visione autogestionaria e solidaristica dei rapporti sociali, se non praticando anche nella formazione modelli autogestiti che superino la tradizionale opposizione tra istituenti e istituiti, tra conduttori e condotti, tra chi detiene un sapere e chi è convinto che solo gli esperti possano conoscere i suoi bisogni formativi ?

Per un modello alternativo di formazione proponiamo un dispositivo di formazione che può contenere al proprio interno due obiettivi opposti:
– quello tradizionale della trasmissione di conoscenze
– quello di un apprendimento fondato sull’esperienza dell’hic et nunc.
La scelta tra i due può essere legata ai contenuti:
– alcuni contenuti, ad esempio quelli legati ai saperi tecnici possono essere trattati attraverso la trasmissione di conoscenze;
– altri posono essere accquisiti sulla base dell’hic et nunc, per esempio, rifacendoci all’esperienza descritta, le competenze nel chiarimento dei rapporti con la gerarchia, la capacità di identificare i giusti interlocutori per problemi specifici, l’animazione di una riunione o di un’assemblea alla ricerca di una maggior partecipazione alle decisioni.

E’ nella gestione dei contenuti che si verifica il ribaltamento del modello tradizionale: i corsisti si possono organizzare per ricercare e decidere quali sono i loro bisogni formativi, anche ricorrendo agli esperti, ma utilizzandoli come consulenti e gestendoli di volta in volta.

La formazione si avvicina così al modello della nuova ricerca-azione di Carr e Kemmis in cui sono gli stessi praticanti (i corsisti) a condurre la ricerca a partire dalla loro pratica formativa, a differenza della ricerca-azione classica, lewiniana, dove sono gli esperti esterni che gestiscono e pianificano la ricerca.
In questo dispositivo il ruolo della direzione della formazione è legato alla proposta delle risorse, al materiale di formazione da negoziare con i corsisti, che devono anche negoziare le basi materiali della formazione, il suo progresso, date, orari.
Tutto ciò consente a dirigenti di cooperative sociali di autopromuoversi come soggetti dell’apprendimento, sperimentando anche nel campo dell’organizzazione del sapere modelli autogestionari coerentemente con la visione autogestionaria dei rapporti sociali di cui le imprese sociali possono farsi portatrici.

Bibliografia

 – W. Carr, S. Kemmis,  Becoming Critical: Education Knowledge and Action Research, Falmer Press, 1986
O. Cotinaud, Dinamica di gruppo e analisi delle istituzioni, Roma, Borla, 1976
– E. Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, 1969
– E. Goffman, Asylums, Torino, Einaudi, 2003
– G. Lapassade, L’analisi istituzionale, Milano, Isedi 1974
– G. Lapassade, L’autogestione pedagogica, Milano, F. Angeli, 1973
– G. Lapassade, In campo, Lecce, Pensa Multimedia, 1996
– G. Lapassade, Baccano, Lecce, Pensa Multimedia, 1996
– G. Lapassade, L’istituente ordinario, Lecce, Pensa Multimedia, 1997

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