Alle compagne e ai compagni del Paz e alla loro passione attiva per la composizione della comunità ricombinante
Solo praticando una deriva metropolitana e percorrendo Rimini come un flaneur si può immaginare un paesaggio mentale come effetto di questa macchina urbana che fabbrica le soggettività. La macchina è il risultato di un concatenamento di parti diverse, dalle rovine romane di un illustre passato, a pezzi di medio evo ad oggetti biologici a sguardi ed odori che compongono l’immaginario di un borgo provinciale in cui si vivono gli affetti e le passioni nel ciclo delle stagioni.
La comunità raccontata da Fellini è diventata un prototipo di comunità, una gemeineschaft alla Tonnies, in cui convivono diverse generazioni e le soggettività si conformano alla tirannia di un codice che aggiudica i ruoli della commedia umana che si ripete con poche varianti: qualcuno assume il ruolo che gli viene aggiudicato ma, tal’ora qualcuno ne vuole un altro così si decodifica e si delocalizza e viene segregato,lontano dal borgo a raccogliere sassi significativi solo per lui ed a gridare con disperazione sulla cima di un albero: “a voi una dona!!”
Quella macchina si è estesa con la proliferazione di una città lineare, la città turistica, divisa dalla comunità dalla linea ferroviaria. Un sopra ed un sotto. The Town or the City direbbe J. Kerouac.
Al di sotto della ferrovia emerge un altro paesaggio che si assembla disordinatamente al borgo, una specie di periferia fatta di alberghi,villette in serie, una molteplicità di negozi e spazi vendita, bar, pensioni, capanni affastellati, pinne, fucili ed occhiali, ombrelloni e cabine che si ripetono come se fossero una immensa scultura di Andy Warhol. Una urbanistica pop: la riminizzazione di Rimini.
Gli abitanti di questo luogo non vivono in comunità, interagiscono come individui, anche i legami familiari si indeboliscono e diventano volatili.
Pensioni familiari e turismo familiare sono solo paraventi che nascondono la dura realtà della moltitudine che popola questa metropoli effimera.
I legami solidi della comunità sono scomparsi al posto di identità fortemente strutturate compaiono identità liquide, come dice Z. Baumann, basate su vincoli altamente mutevoli.
Il paesaggio urbano della metropoli transitoria si concatena con la città chiusa nelle sue mura e la ingloba in una macchina più grande provocando una mutazione antropologica, un cambiamento nel paesaggio mentale e l’emergere di nuove soggettività.
Questo processo globale assume a Rimini la forma del già avvenuto.
Qui accanto al popolo dei riminesi che si raccolgono idealmente nelle mura malatestiane e nei borghi esiste la moltitudine dei riminizzati che si pensano transitori in questo luogo,un po’ di passaggio, per il lavoro, per il turismo, per curiosità, per piacere.
Questa moltitudine è fatta di individui che hanno deboli legami fra loro e si sentono e sono differenti l’uno dall’altro.
Sono individui che entrano in relazione per calcolo ma anche per passioni transitorie ed intense, attimi, affetti di passo.
Mentre nel borgo c’è ancora una qualche narrazione di fatti e di memorie, un racconto analogico con un prima ed un poi, con un popolo che si raccoglie attorno a dei simboli identitari, nella metropoli c’è intensità puntiforme, una forma di vita digitale, molto precisa, reale, troppo reale, una iperrealtà che non ammette narrazione. E’ una moltitudine di solitudini che si intrecciano secondo la curva dei desideri producendo figure frattali.
Questa macchina produce un paesaggio mentale dissociato: il tempio Malatestiano e il Cocoricò, Castelsismondo e il grattacielo, l’inverno e l’estate, il giorno e la notte, la mente e il corpo ma vorrei poter dire l’apollineo e il dionisiaco.
La città sopra la ferrovia non ama la città del turismo, come un piccolo borghese si vergogna della sessualità ,degli “ istinti bassi” della plebe, della suburra, della moltitudine incontrollata ed incontrollabile, della prostituzione, del gioco, della droga, dei viados e di tutto ciò che circola nelle pieghe multiformi di una città immaginaria che assomiglia alla metropoli allucinata di Blade Rummer.
Dunque,per tornare a noi, la riminizzazione è un effetto anticipato di quel fenomeno che ora si chiama globalizzazione.
Questo fenomeno, che qui è cominciato nel dopoguerra, è stato la conseguenza di una scelta progettuale che è stata erroneamente chiamata turismo di massa. Ma quale massa? I treni le automobili, i pullman e gli innumerevoli charter dell’aeroporto di Miramare non portavano masse, cioè persone che si identificavano in un leader o in un simbolo come una squadra di calcio o una bandiera nazionale. Non c’erano masse popolari. Non c’era popolo. Qui non è venuto il popolo tedesco, né la massa operaia di Dussendorf né la comunità di Stoccolma. Sono venuti singoli individui, forse organizzati in gruppi, gruppi famigliari, gruppi di amici, compagnie e tutti assieme si sono percepiti e sono stati percepiti come una moltitudine di turisti che arrivavano in una città ed entravano in una relazione di mercato e non solo, con i locali e fra di loro. Un vincolo debole, senza storia, effimero e volatile. Tuttavia questa moltitudine di passo ha anche consolidato dei vincoli, ha prodotto un cantiere per fabbricare soggettività, che è ancora aperto.
Dagli anni 60 si sono solidificati alcuni legami della moltitudine turistica. Alcuni affetti di passo si sono fermati e sono precipitati nel territorio sotto forma di coppie miste: un riminese ed una berlinese o viennese o parigina o zurighese e così via. Così sono nati dei gruppi famigliari ibridi che hanno dato origine a stili di vita ricombinanti nella vita quotidiana, dall’alimentazione al gusto estetico, alla richiesta di beni di consumo ed ai bisogni tipici di uno spazio globale non territorializzato, tipici di una metropoli cosmopolita e non di un borgo provinciale.
La moltitudine è emersa nella vita quotidiana di questa città. Il paesaggio mentale non è più quello del borgo di Fellini e di Titta. La riminizzazione ha prodotto una potente deterritorializzazione che ha decodificato Rimini ed i suoi abitanti. La riminizzazione ci ha spaesato,ora siamo un po’ tutti come lo zio di Titta, chi in cerca di una donna,chi in cerca di un uomo, chi in cerca di oggetti parziali. Qui, ormai, la comunità originaria è,come direbbe Spinoza, una “passione triste” che pervade la città. Un specie di nostalgia per un paradiso perduto da cui si sarebbe caduti nella moltitudine attuale.
Per coltivare questa passione triste si organizza il folklore di feste mai esistite tipo Festa de Borg, c’è un movimento che vuole ripristinare tutto “come era e dov’era” a partire dal teatro comunale bombardato durante la guerra, si cercano vincoli comunitari originari immaginari per escludere anziché includere i riminizzati. Voglio dire che le moltitudini, uso il plurale in questo caso, vengono ricodificate per appartenenze identitarie parziali.
Così ad esempio le comunità di provenienza che conservano gli “usi e costumi”. Interessante a questo proposito è il documentario di Marco Bertozzi sulla comunità dei lampedusani a Rimini e sulla loro festa della Madonna di Lampedusa. Questa conservazione è la ricostruzione di un passato in un “altrove”, è un modo per sfuggire alla moltitudine, per ricostruire un popolo, una massa con una identità regressiva, un ghetto in cui chiudere un passato idealizzato e che domina il presente.
In queste comunità regressive si ricodifica una narrazione che assume la forma del rifatto e del rivisto. Viene bloccata la creatività e la produzione di stili di vita si cristallizza in forme precostituite da una specie di canone di cui sono detentori i capi bastone o i ministri o qualsiasi altra forma gerarchica che possa esprimere quella comunità.
Particolarmente odiose sono, a mio parere,le comunità cosiddette etniche che vogliono imporre norme di comportamento e forme di soggettività a chi ha cercato volutamente una via di fuga nella moltitudine. Queste comunità regressive non riconoscono l’alterità al proprio interno,proprio perché sono identitarie,e vivono in una dimensione paranoidea in cui: “ci siamo noi che apparteniamo a questa comunità che condividiamo questa e quella caratteristica poi ci sono loro che ci minacciano che non vogliono farci esprimere che ci odiano ecc”.Queste comunità, di solito, conquistano dei territori nelle metropoli e li segnano con i loro simboli di appartenenza. Si possono trovare nelle periferie delle grandi città. Non qui a Rimini.
Qui però, ci sono comunità che rispondono al bisogno di ricodificare una appartenenza ad una cultura patriarcale, ormai scomparsa, come San Patrignano, o di ripristinare un antico o mai vissuto, sentimento religioso. Come la Comunità Papa Giovanni XXII. Così le comunità aggregano per passioni tristi ed i loro adepti indossano stili di vita abbandonati da altri e rattoppati per la bisogna.
Ma accanto a questa risposta regressiva all’emergere della moltitudine ne esiste un’altra che non si basa sulla nostalgia di una inesistente comunità originaria ma sulla passione attiva per una “comunità che viene” come la chiama Giorgio Agamben. Questo significa che si compongono in situazioni particolari, che possiamo definire calde, delle piccole comunità convocate da elementi naturali: la gravidanza, la nascita, i primi periodi di vita, gli asili, le scuole,il lavoro, le malattie, il dolore la morte ma anche i momenti di divertimento il piacere e il tempo liberato dal lavoro e così via in un processo di socializzazione.
Questi eventi vitali hanno la forza di un magnete e attirano naturalmente delle piccole comunità che sviluppano vincoli di solidarietà che producono sostegno ed auto-aiuto tramite lo scambio di affetti e sentimenti al di la di qualsiasi altra appartenenza etnica o religiosa o sessuale.
Queste comunità creano cittadinanza e crescendo e concatenando fra loro diversi codici producono una ricombinazione creativa da cui emergono nuovi gruppi culturali.
Questi gruppi,che possono anche essere comunità di rete, comunità di un centro sociale, come ad esempio il P.A.Z, elaborano in totale autonomia ed autogestione nuove forme e nuovi stili di vita che si diffondono nella moltitudine secondo un percorso rizomatico imprevedibile. Sono delle comunità ricombinanti che sperimentano le forme di vita, ed i legami sociali di una realtà a venire.
Questa città ha l’estrema necessità di favorire questo processo spontaneo, accompagnandolo senza ostacolarlo o peggio ancora tentare di condurlo verso schemi e forme precostituiti altrove. La moltitudine dei riminizzati percorre le strade di queste comunità ricombinanti che appaiono come un non essere ancora, come direbbe Bloch, sono crogiuoli della fusione calda, strumenti di una ricerca che non va mai ostacolata, come ci ha ricordato Peirce.
Bibliografia
G.Agamben, La comunità che viene, Einaudi
Bloch, E., Ateismo nel Cristianesimo, Feltrinelli
W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi
Bauman, Z., Modernità Liquida, Laterza
A. Bauleo, Psicoanalisi e Gruppalità, Borla
Hardt, M., Negri, A., Moltitudine, Rizzoli
B. Spinoza, Etica, Editori Riuniti
G.Deleuze; F. Guattari, Millepiani, Castelvecchi
L. Montecchi, Varchi, Pitagora
C.S. Peirce, Opere, Bompiani
Filmografia
F. Fellini, Amarcod
R. Scott, Blade Runner
M. Bertozzi, Rimini Lampedusa Italia