Parlare della famiglia in questo luogo mi sembra essere un compito complesso. Voglio cominciare con una citazione di Leonardo Montecchi (1989):
“Non è casuale che il discorso dell’egemonia sia in ultima istanza la modalità formale attraverso cui il potere viene esercitato e che nella interpretazione Gramsciana stia a significare la complessità di apparati ideologici e istituzionali che producono l’ideologia dominante.
E’ proprio questo calarsi nel quotidiano dell’ideologia, questo suo filtrare in forma molecolare nel linguaggio, nel senso comune, che costituisce lo specifico ambito di pertinenza psicoanalitica.
E’ nella dimensione della quotidianità, dove il tempo sembra scomparso, dove domina la coazione a ripetere che si manifesta il discorso dell’egemonia.
Sta qui il segreto del consenso alla stabilizzazione ed alla repressione del desiderio di cambiamento.
Nella quotidianità, infatti, confluiscono brandelli di ideologia e visioni del mondo, parti di religioni che vengono assembleate nel senso comune, nel linguaggio quotidiano che struttura il proprio soggetto.
Qui nella dimensione familiare non c’è spazio che per un desiderio interdetto per un soggetto sottomesso ad un ordine simbolico che è a lui preesistente e dove l’assunzione de l’aggiudicazione del ruolo è determinato da un codice morale prodotto da un contesto storico, economico e sociale determinato ma vissuto come assoluto ed immutabile.”
Siccome la complessità non diventa meno se si fanno gruppi coordinati due volte dopo i miei interventi, voglio limitare lo scopo della mia presentazione. Ho deciso di parlare soprattutto della patologia, della follia o pazzia nella famiglia.
La famiglia può essere vista come un luogo preferito, dove uno si mette a far impazzire l’altro.
Searles, un esperto della psicoterapia della schizofrenia, ha pubblicato nel 1959 il suo articolo “The Effort to Drive the Other Person Crazy”. E stato tradotto in tedesco nel 1969 per una collezione di lavori sul tema della schizofrenia e la famiglia (Bateson et al.1977)
In questo lavoro mostra che c’è una tendenza attiva per rendere pazzo l’altro, sia nella famiglia, sia nella terapia. L’esempio classico è quello del terapeuta sedotto dal comportamento erotizzato ed erotizzante del paziente quando allo stesso tempo questo nega tutta intenzione di questo genere.
Nello sviluppo del bambino le contraddizioni collegate all’individuazione / separazione non sono tanto i motivi erotici, ma quello della dipendenza / indipendenza che può essere all’origine di una psicosi o nevrosi severa.
Searles menziona anche il traumatismo, pero non ci si ferma tanto, dato che l’interesse ci porta più sull’origine delle situazioni traumatiche che sul trauma in sé.
Usa il termine di Bateson del “double bind” per indicare la contraddizione traumatica nell’atteggiamento tra persone vicine come la madre e il bambino. Quando la madre risente il bisogno di avere un bambino dipendente per esistere se stessa, il suo atteggiamento diventerà paradosso. Cercherà (consciamente) di aiutare il bambino a diventare grande; nello stesso tempo però farà in modo di vietare il comportamento progressivamente più maturo del bambino. Il bambino dunque sentirà il bisogno della madre e tenterà di soddisfarla. Questo in torno provocherà una reazione punitiva nella madre che consciamente non vuole tollerare il comportamento regressivo del bambino.
La situazione analoga si presenta in tutte le terapie, perché c’è sempre l’aspetto dipendenza – autonomia che gioca un ruolo. Le interpretazioni precoci hanno un effetto potenzialmente traumatico perché mettono in dubbio la coerenza interna del paziente. Questo deve ricorrere a una strategia difensiva eccessiva, producendo così nel terapeuta un sentimento d’impotenza. Prendendo falsamente il paziente come un piccolo bambino, farà più interventi inadeguati, aggravando così la situazione.
Un motivo sopra quale Searles insista molto, è la tendenza della coppia o del gruppo di rimanere nello stato fantasmatico della simbiosi, o come direbbe Bléger, indifferenziato sincretico. In opposizione agli altri autori anglosassoni che pensavano che nessuno si piacesse nello stato regressivo simbiotico, al meno dalla parte degli terapeuti, Searles dimostra quanto piacere si può trovare in tali stati.
Nello stesso libro (Bateson et al.1977) si trovano altri lavori che voglio menzionare soprattutto perché ci troviamo appunti interessanti riferendosi al gruppo. Questi articoli sono stati scritti negli anni 1950; dunque possono essere visti come lavori di pionieri della scienza sui gruppi.
Wynne (p. 44) riferisce un lavoro di ricerca fatto con famiglie di persone schizofreniche nel quale i genitori del paziente schizofrenico erano visti due volte per settimana, mentre il paziente era trattato (più) “intensivamente”. Altri membri della famiglia e il personale dell’ospedale psichiatrico erano inclusi nella ricerca. Lo scopo era di studiare la struttura della famiglia come organizzazione sociale per trovare un’interpretazione psicodinamica della schizofrenia.
Nei primi studi preliminari gli autori trovarono un fenomeno che chiamavano “pseudo-communità (pseudo-mutuality)”. Partendo dell’assunto assiomatico che l’essere umano tende al legame con altri uomini, e di un secondo assunto cioè che cerca un sentimento d’identità per ottenere uno stato di coerenza interna e di continuità, gli autori scoprivano tre modi di “soluzione”:
Le chiamavano “comunità (o mutualità), non-comunità (non-mutualità) e pseudo-comunità (pseudo – mutualità)”. Quest’ultimo tipo, se è molto pronunciato, assieme a altri fattori contribuisce alla genesi di un attacco grave di schizofrenia. Se un membro di una pseudo-comunità vuole accennare la sua individualità, il gruppo entra in crisi, mentre una “comunità” saprà tollerare le differenze e le divergenze che si producono tra la realizzazione degli interessi individuali. I ruoli che cambiano naturalmente in una “comunità”, diventano rigidi e stereotipati nella pseudo-comunità. Le attese e gli atteggiamenti, nella pseudo-comunità, non sono più adatti alla realtà, ma servano come stabilizzatore dell’illusione di relazione. Così le relazioni perdono la loro freschezza e la crescita è impedita. La relazione mantenuta nello stereotipo diventa “vuota, sterile e soffocante”.
“Se la struttura del ruolo e dell’ideologia nella famiglia è eccessivamente amorfa, vaga o instabile e se malgrado ciò si riveli totalmente inglobante, si capisce facilmente che in questo modo un tale ambiente può contribuire a una diffusione dell’identità (ibid. p. 173)”. Pero se i ruoli sono squisitamente chiari e inequivochi, la loro importanza per la formazione dell’identità è meno evidente. Ruoli famigliari stereotipati possono contribuire a una crisi dell’identità del tipo che si osserva in casi di attacchi acuti di schizofrenia. L’autore dimostra la validità di questi pensieri con casi molto illustrativi.
Un grande classico è il lavoro di Laing ed Esterson (1964): Sanity, Madness and the Family – per me il testo più buono di Laing. Forse generalmente Laing è più conosciuto per il suo libro The Divided Self – una collezione di casi scritta in modo che possano essere capiti da un pubblico non esperto in psichiatria.
Il primo è basato sullo studio di undici casi in quali hanno fatto interviste con pazienti schizofrenici e diversi membri del grupo famigliare in varie composizioni. La selezione era stata fatta secondo criteri scientificamente corretti, e le interviste furono registrate in maggior parte. Così ci troviamo con un materiale clinico eccezionalmente ricco. Il fatto che i conduttori delle interviste ponevano delle domande molto intelligente e riuscivano a mettersi in un contatto sempre fiducioso, anche con pazienti e famigliari molto strani e pazzi, contribuiva alla ricchezza del materiale. Il modo in cui preparavano i dati per dare un quadro chiaro e comprensibile era di una qualità non solo scientifica nel senso di una fenomenologia rigorosa, ma anche letteraria di alto livello.
Loro interesse era di studiare la comunicazione tra i membri della famiglia. Dicono che per studiare il funzionamento di una squadra di calcio non vale tanto fare delle interviste individuali che guardare come giocano.
– Noi possiamo dire anche, che se si vuole studiare il funzionamento di un’orchestra, non bisogna far interviste individuali ma sentire come suonano la musica.
Usando i concetti di Sartre (1960), dichiarano che “quando uno osserva che cosa succede in un grupo umano, vorrà essere in grado di ridurlo a quello che gli attori fanno.” Questo sarà chiamato “la prassi”. “In fatti, spesso quello che succede in un gruppo può essere non inteso per nessuno.” “Forse nessuno ne capirà nemmeno le cose che succedono; ma ciò che succede in un gruppo sarà intelligibile se uno può far risalire i passi da ciò che succede (processo) alle persone che stanno facendo qualcosa.” (p. 22)
“La domanda in ogni caso era: In qual grado l’esperienza e il comportamento di una persona che ha già cominciato una carriera come un caso diagnosticato da ‘schizofrenia’ possono essere intelligibili nella luce della prassi e del processo del suo nesso familiare?”
Nel primo esempio, il caso “Abbot”, c’è un passaggio in quale gli autori scrivono come i genitori della paziente paranoide comunicano (alla presenza di questa!) tra di loro con vari gesti e sorrise ben manifesti per l’osservatore. Quando quest’ultimo le confronta con quest’osservazione, i genitori rispondono con una franca negazione. La paziente si trovava costretta di non credere alla sua diffidenza.
In vari esempi si vede una famiglia molto isolata dal resto del mondo; soprattutto la futura paziente fu isolata. C’era sempre una lotta per l’indipendenza, pero intrecciata in tante contraddizioni. L’esempio di “Lucy Blair” è illustrato con uno schema che mostra la sua relazione con se stessa essendo dipendente della vista d’altre persone in modo eccessivo. I genitori rinforzano loro proprio giudizio negativo sulla figlia con il supposto analogo del resto del mondo: tutti la vedono così! La paziente si vede se stessa come debole di volontà (weak-willed). “Lucy was cut off from both men and women, since she could not discriminate ordinary friendliness from imminent rape, or what her mother called ‘familiarity’”. (Lucy era forzosamente separata dagli uomini e dalle donne già che non sapeva distinguere tra amicizia normale e stupro imminente o come la madre diceva: “Famigliarità”).
Ci si trova tanti esempi di meccanismi di deposito. Nel caso della famiglia “Danzig” la madre usa il termine “being flooded out” – questo si riferisce alla catastrofe dell’esclusione.
“Ruby Eden” era vista quasi come una prostituta, ma non si diceva niente del genere direttamente a lei. Pero quando c’era una gravidanza, le donne della famiglia provavano a fare un aborto e si lamentavano, quanto la ragazza era una folle, sciattona, che era una porcheria (come nel caso della mamma) e che porco era il ragazzo (come il padre) – che la storia si stava ripetendo – – così la paziente sentiva per la prima volta i fatti della sua propria nascita – –
Nel caso della “June Fields” si vede che certi genitori preferiscono una bambina handicappata per continuare a trattarla come un bimbo. Quando la stessa paziente era via della casa nell’adolescenza e ritornava cambiata, non era più “la mia June”.
“Ruth Gold” rispondeva alla domanda degli investigatori, se si sentiva nell’obbligo di essere sempre d’accordo con ciò che gli altri d’intorno a lei credevano, rispose sì, perché se no, di solito finiva nell’ospedale.
Armando Bauleo (1978) scrive: ”Si può dire quindi che la teoria del deposito, della segregazione e la nozione di emergente costituiscono una sorta di spiegazione del nesso tra malattia individuale e gruppo famigliare.
(…)
Cerchiamo di estendere e di approfondire, a partire dell’idea centrale di teoria e tecnica operativa, la nozione di compito e il modo in cui il gruppo si relaziona ad esso, le cause e lo scopo di tale rapporto; indagine che nel suo complesso ci offre un’ulteriore possibilità diagnostica del gruppo famigliare.
Il primo fattore, cioè il compito, ci fornisce un tipo di approssimazione all’ideologia, intesa come tradizioni e piani prospettici del gruppo famigliare, e di qui alla scala dei valori che esso si è dato, poiché è a partire da questa che divengono chiari i fini o gli obiettivi che il gruppo ha fissato.
Il compito può risultare esplicito, negato, distorto, vale a dire che il gruppo può avere chiare le sue mete future o immediate, annullarle o imporsene delle altre che per le loro caratteristiche (…) si trovano al di fuori di ogni logica. A ciascuna di queste modalità potremmo attribuire una correlazione nosologica nel senso cioè dei principi freudiani sul rapporto fra psicosi, nevrosi e principio di realtà; e potremmo dire che, quando il compito è reso esplicito, il gruppo si muove all’interno del principio di realtà, mentre quando viene negato o distorto il gruppo agisce invece all’interno di strutture nevrotiche o psicotiche.”
La seconda lezione non è stata scritta in avanzo. Rispondeva invece a degli interrogativi sorti della prima lezione. Ci si trattava delle “famiglie” o delle filiazioni psicoanalitici.
E stato sollevato che Laing si trovava in linea dell’esistenzialismo e della fenomenologia, fortemente ispirato da Sartre. Sartre invece ammirava il filosofo tedesco (nazista!) Heidegger. A Zurigo c’era un heideggeriano, Medard Boss, che fondeva la scuola zurighese della Daseinsanalyse. Boss si sentiva vicino a Laing nel suo intendimento fenomenologico del lavoro con i pazienti. Nonostante il dissenso con tanti argomenti della psicoanalisi freudiana, Boss non voleva mai uscire dall’Associazione Internazionale di Psicoanalisi (IPA). Durante gli anni 1970 e fino recentemente le diverse scuole psicoanalitiche di Zurigo si mantenevano lontani l’una dell’altra, allora che oggi ci sono movimenti o tentativi di approccio.
Bibliografia
- Bateson, Jackson, Laing, Lidz, Wynne u.a. (1977) Schizophrenie und Familie Theorie Suhrkamp Verlag Frankfurt/M. Copyright 1969
- Laing R.D. and Esterson A. (1964) Sanity, Madness and the Family a Pelican Book. Penguin Books
- Sartre J.-P. (1960) Critique de la raison dialectique Paris, Gallimard
- Bauleo A.G. (1978) Ideologia, gruppo e famiglia Milano Feltrinelli p.64
- Montecchi L. (1989) Discorso presentato alla riunione commemorativa dei venti anni di Piattaforma a Roma (manoscritto non pubblicato)