Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ‘l vedrai».
Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’ avesse l’inferno a gran dispitto.
(La divina commedia, Inferno, Canto X, 31-36)
Venti anni fa Armando Bauleo scriveva nella prefazione del testo “Cambiare : il modello operativo del Sert di Rimini”:
“Fu creata una Scuola di Prevenzione per formare operatori nel difficile ambito della prevenzione e della psicoigene. Emergente dell’esperienza, la scuola simbolizza la necessità di organizzare un corpo concettuale e le possibilità di una trasmissione, affinché le pratiche non rimangano semplici aneddoti”
Cercherò di affrontare l’argomento dell’emergente dal punto di vista della scuola, cioè come una elaborazione dell’esperienza che non sia il semplice racconto aneddotico ma nemmeno una evidenza basata su studi controllati o una metanalisi. È un altro metodo.
Al centro di questa comunicazione sta il concetto di emergente che non nasce prima del fenomeno o meglio del fatto.
Ci sono fatti, accadimenti, eventi che non sono emergenti e altri che lo sono, dunque possiamo considerare emergente un tipo particolare di fatto o di accadimento.
In questo modo di procedere seguo le prime due proposizioni del Tractatus di Wittgenstein, filosofo che Armando Bauleo studiava anche per la sua amicizia intellettuale con Aldo Gargani che è stato più’ volte invitato a tenere seminari all’Istituto Internazionale di Psicologia Sociale di Venezia.
Dice Wittgenstein:
1. il mondo è ciò che accade
1.1 il mondo è la totalità dei fatti e non delle cose
Dunque la “totalità” dei fatti, degli accadimenti, costituisce il mondo e per tornare a noi l’emergente è prima di tutto un fatto, un accadimento, un evento.
Dico accadimento perché l’emergente accade, o è accaduto nel mondo, appartiene dunque alla dimensione dell’esperienza, non è un “flatus vocis”, una emissione di fiato un segno privo di referente. Ha una sua realtà che è indipendente dal nome come
dice Giustiniano “nomina sunt consequentia rerum” cioè prima viene il fatto, poi il concetto.
Se l’emergente è un fatto non è una cosa ma, sempre per citare Wittgenstein “il sussistere di uno stato di cose”, perché per la cosa è essenziale la relazione in uno stato di cose.
Dunque perché sussiste un certo stato di cose e non un altro? Cioè: che cosa fa si che ad un certo punto, in un mondo accada un evento e non un altro?
Questa domanda ci pone nella dimensione della causalità cioè della concatenazione di eventi, ora, tralasciando tre delle quattro cause della concezione aristotelica, ci concentreremo sulla quarta e cioè la causa efficiente.
Per causa efficiente si intende ciò che ha prodotto l’evento.
In questo caso dobbiamo isolare due eventi, il primo che chiameremo causa ed il secondo che chiameremo effetto, i due eventi sarebbero vincolati da un “nesso causale” tale per cui il primo sarebbe antecedente e il secondo conseguente.
Questa relazione vincolare è una implicazione necessaria.
Massimo Bonfantini nel suo apologo sulle tre inferenze di Peirce mette in scena un uomo del neolitico che chiama Petrus Petrosus che è fermo a pensare mentre fuori dalla sua caverna piove. “Piove” – osserva – “e il terreno si bagna”.
Questi due eventi sono connessi in una legge che li collega necessariamente un ‘se – allora':
“se piove allora il terreno si bagna”.
Ossia la pioggia produce il terreno bagnato.
Un evento ( la pioggia) causa un altro evento (il terreno bagnato).
Ma questi eventi sembrano implicarsi reciprocamente per questo quando Petrus vede che inizia a piovere capisce che il terreno si bagnerà cioè è in grado di formulare una previsione per via della legge della causalità.
Tuttavia, come ci racconta argutamente Bonfantini una mattina il Petrosus vede il terreno bagnato e consapevole della legge causale scommette le pelli che ha conservato che durante la notte c’è stata la pioggia ma purtroppo per lui, perde tutto perché l’evento antecedente non è stata la pioggia ma un branco di elefanti che dopo avere bevuto nel fiume hanno scaricato l’acqua sul terreno bagnandolo.
Ossia, ci dice Peirce, non sempre un evento conseguente è legato ad un solo altro evento antecedente, quello più frequentemente osservato e ne diventa necessariamente l’unica causa efficiente, ma l’evento può essere prodotto da una serie di cause di cui è possibile ipotizzarne una.
Ma questa ipotesi non è sufficiente, per stabilire il vero nesso causale è necessaria una ricerca perché l’ipotesi sia confermata o smentita.
Dunque un evento si manifesta nel mondo in un certo tempo ed in un certo punto dello spazio, può trattarsi di un vaso che cade o il sorgere del sole.
Nello spazio-tempo ogni punto si può indicare con quattro coordinate, tre definiscono la posizione nello spazio e la quarta indica un preciso momento temporale.
Dunque un evento è un fatto accaduto in un preciso luogo in un preciso tempo.
Dunque se un evento compare: il vaso che cade, ci deve essere un altro evento antecedente che lo causa, nel senso di produrlo: un urto .
Il vaso si muove perché è stata applicata una forza che l’ha mosso e fatto cadere. Questo è il famoso principio di inerzia della meccanica galileiana
Un corpo mantiene il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, finché una forza non agisce su di esso.
Tuttavia questo principio, che è alla base del determinismo e del meccanicismo, il nesso necessario causa-effetto che per Isaac Newton è una legge naturale è negato da David Hume che contesta radicalmente che fra due eventi A e B di cui l’uno precede e l’altro segue si possa instaurare un nesso causale necessario. Per lui la frequenza della associazione non ne definisce la necessità, come abbiamo visto nelle inferenze di Peirce , che il terreno si bagni quando piove non significa necessariamente che tutte le volte che troviamo il terreno bagnato precedentemente sia piovuto, perché possono essere passati gli elefanti ecc., ecc.
Per Hume i nessi fra gli eventi si costituiscono sulla base di abitudini.
Non esiste un principio di uniformità in natura che si faccia carico di considerare immutabili certi nessi associativi molto frequenti.
Così Hume decostruisce Il nesso di causa effetto come fatto reale e ne mostra l’aspetto abitudinario, immaginario. Così anticipa Peirce quando sostiene che l’abitudine associativa è uno dei modi in cui si fissa la credenza.
Come ha svegliato Kant dal sonno dogmatico così il pensiero scettico di Hume ci può servire per uscire dal materialismo meccanicista che considera gli eventi separatamente e li inserisce in una concatenazione determinista di causa effetto che sembra un elemento della realtà ed invece non riesce a comprendere la complessità dell’evento.
La causalità lineare, meccanica, non prende in considerazione il contesto perché isola gli eventi e li concatena come antecedente e conseguente secondo una idea cronologica del tempo che prevede una successione di istanti lungo una linea.
La complicazione ha inizio quando si prendono in considerazione eventi che non appartengono al piano fisico o meglio l’ambito dell’evento si amplia alle reazioni chimiche.
Stuart Mill nel 1843 scrive nel suo “System of logic” che un insieme di cause fisiche si sommano nell’ effetto che si ottiene.
Per questo lui parla di effetto omopatico.
Ma se prendiamo in considerazione i reagenti chimici come la causa di un effetto, cioè il prodotto della reazione chimica, ci accorgiamo che il risultato non è dato dalla somma delle parti che compongono la reazione. C’è un plus che non si ritrova nei reagenti di partenza. Mill parla, a questo proposito, di effetto eteropatico che modifica qualitativamente le leggi che governano il corpo in questione.
Ma le leggi della dialettica dell’ idealismo tedesco avevano già affrontato questa questione con il concetto di totalità.
La totalità è di più’ o qualche volta anche di meno della somma delle parti.
L’introduzione del concetto di totalità ci permette di uscire dalla idea della causalità lineare e di entrare nella dimensione della retroazione degli effetti sulle cause che li hanno prodotti.
Dobbiamo distinguere due grandi correnti che attraversano il pensiero attorno al tema dell’evento: il materialismo e l’idealismo.
Per il materialismo l’evento è esterno al soggetto, appartiene alla dimensione della realtà, ed è sottoposto alle leggi della causalità, ma non per Hume.
Per l’idealismo invece l’evento è puramente mentale è un peculiare modo di manifestazione dello spirito nel suo processo di sviluppo. La causalità è circolare nel senso che gli effetti possono retroagire sulle cause.
Queste due linee di pensiero trovano il proprio limite nell’analisi dell’emergente.
Cosa intendiamo per emergente?
Se passiamo dai fatti chimici, di cui abbiamo parlato, alla biologia la complessità si impadronisce di noi.
Charles Darwin ha dimostrato che la natura non è statica ma che subisce nel corso del tempo dei processi di cambiamento da lui chiamati evoluzione.
Durante questa evoluzione naturale sono comparsi i vegetali, poi gli animali, che a loro volta hanno subito processi evolutivi e così via.
Sembrerebbe la scoperta della evoluzione dalla materia, però in questo materialismo è impossibile applicare la causalità lineare. Ad esempio la comparsa dell’uomo non si spiega con un nesso causa effetto, così come la comparsa della mente, della coscienza e della coscienza della coscienza o autocoscienza. Di questi processi evolutivi intesi come “salti di qualità” si può parlare solo se si esce dalla logica formale aristotelica basata sul principi di identità di non contraddizione e di terzo escluso.
All’interno della logica formale non è possibile comprendere come “emerga” l’essere umano da una natura che non lo contiene in nessuna delle sue parti. Per questo ci sono ipotesi di interventi esterni, dal Creatore, fino al monolito alieno di 2001 odissea nello spazio.
Emergente è dunque un evento la cui causalità non è lineare e che compare in un preciso momento in una certa situazione i cui elementi, presi separatamente e sommati non rendono conto di questo emergente che ridefinisce la situazione totale con un l’aggiunta di un plus che non c’era.
Dunque l’ emergente non può essere capito partendo dagli elementi che compongono la situazione da cui emerge, ma è partendo dall’emergente che si capiscono gli elementi della situazione.
Scrive Marx nella “Introduzione alla critica dell’economia politica” del 1857:
“L’anatomia dell’uomo ci dà una chiave per l’anatomia della scimmia. Gli accenni ad una forma superiore che vi sono nelle specie animali inferiori possono essere compresi solo se quella forma superiore è già conosciuta”
Marx ed Engels introducono la dialettica nel materialismo e soprattutto chiariscono la legge della trasformazione della quantità in qualità attribuendo un valore positivo alla contraddizione.
Scrive Engels nell’“AntiDuring”:
“(…) quasi dappertutto nella chimica e già nei diversi ossidi dell’azoto, nei diversi acidi ossigenati del fosforo e dello zolfo si può vedere come ‘la quantità si converta in qualità’ e come questa pretesa idea confusa e nebulosa di Hegel si possa, per così dire, toccar con mano nelle cose e nei fenomeni, senza che tuttavia nessuno resti confuso e annebbiato tranne During”
Questo testo del 1878 riprende il principio di causalità eteropatica, come diceva Mill ma lo inserisce all’interno di una visione dialettica
che rende conto di come possa emergere qualcosa di nuovo e di imprevisto da una serie di elementi in una certa situazione.
Il materialismo dialettico cominciò il suo sviluppo indipendentemente da altre visioni del mondo perché i suoi fondatori l’hanno elaborato come risultato della lotta di classe all’interno della teoria, come diceva Althusser, per questo il pensiero accademico l’ha costantemente osteggiato.
Il dibattito su come emerge il nuovo si sposta, alla fine del secolo dalla biologia alla sociologia e da questa alla politica.
Ad esempio: la società attuale capitalistica è la forma definitiva che ha assunto la vita dell’uomo, per cui la storia è finita o e prevedibile un’altra forma che dovrebbe realizzarsi?
E questa nuova società emergerà dalla vecchia naturalmente o sarà necessaria una “forzatura soggettiva” per farla nascere?
A questo proposito Gramsci scriveva:
“È necessario impostare esattamente il problema della prevedibilità degli accadimenti storici per essere in grado di criticare esaurientemente la concezione del causalismo meccanico, per svuotarla di ogni prestigio scientifico e ridurla a puro mito che fu forse utile nel passato, in un periodo arretrato di sviluppo di certi gruppi sociali subalterni”
(“Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce”)
Dunque il tema di cosa sia un emergente, ritorna nella fisica, con la scoperta del campo elettromagnetico , le equazioni di Maxwell e la forza di Lorenz. In questo caso i fenomeni emergono da un campo di forze.
Georg Cantor introduce nella matematica ,il concetto di insieme che altri come S. Lesniwski preciseranno che non è semplicemente la somma delle parti che lo compongono.
In questo quadro, negli anni 20 in Inghilterra nasce il primo emergentismo con il libro di Charles Lloyd Morgan l’evoluzione emergente.
In questo testo Morgan mostra come durante l’evoluzione compaiano
fenomeni nuovi ed imprevedibili in base alla conoscenza degli stati evolutivi precedenti questi fenomeni come la vita e la mente non hanno nulla di soprannaturale ma non possono essere dedotti dai componenti degli insiemi a cui sono associati.
Morgan si riferisce all’effetto eteropatico di Mills e non fa alcun riferimento alla dialettica ed alla legge della ” quantità che si trasforma in qualità”.
Anche Henri Bergson si era occupato di evoluzione, prima degli emergentisti, e a proposto della comparsa della vita, dell’essere umano e della mente, e di tutti gli altri elementi che emergono improvvisamente da uno stadio evolutivo parla di evoluzione creatrice
Dice Bergson:
“Ogni giorno sotto i nostri occhi, le forme più’ elevate della vita sorgono da una forma molto elementare. L’esperienza dimostra dunque che il più’ complesso è potuto nascere dal più’ semplice per via evolutiva”
(“L’evoluzione creatrice”, cap. I)
Ma per spiegare l’emergenza della complessità dal semplice postula l’esistenza di un “elan vital” che sembra possedere un proprio statuto ontologico al di là della materia.
Comunque, l’emergentismo britannico applicato alla evoluzione si accompagna alla idea di “campo psicologico” che Kurt Lewin riprende dal campo elettromagnetico ed alla idea della psicologia della gestalt che un comportamento emerga da un campo così come una figura emerge dallo sfondo.
Arriviamo così agli anni 50, quando Pichon-Riviere applica il concetto di emergente alla psicopatologia e definisce il paziente come emergente del suo gruppo famigliare.
Che cosa significa questa affermazione?
Significa che ciò che emerge come sintomo nel campo individuale è il risultato di una serie di interazioni di un campo più vasto come quello famigliare. L’emergere di allucinazioni uditive e visive in una persona ad esempio non si può comprendere con un meccanicismo a causalità lineare, n’è è spiegabile con le situazioni famigliari precedenti. Compare improvvisamente. Emerge e definisce una nuova situazione per il campo cui appartiene.
Il filosofo Charles Broad nel 1925 aveva precisato il pensiero di Morgan dicendo che i fenomeni emergenti non sono deducibili a partire dalla conoscenza dei componenti dei sistemi naturali da cui emergono e che questi fenomeni retroagiscono causalmente sui sistemi cui sono associati.
Questa indeducibilità e imprevedibilità sono caratteristiche dei fenomeni con proprietà emergenti.
Gli studi sulla non linearità dei fenomeni che porteranno alla teoria del caos stanno alla base del concetto di comportamento emergente.
Percy Bridgam, il fisico nord americano famoso per il suo operazionismo scrive nel 1927:
“Il comportamento emergente di un sistema è dovuto alla non-linearità. Le proprietà di un sistema lineare sono infatti additive: l’effetto di un insieme di elementi è la somma degli effetti considerati separatamente, e nell’insieme non appaiono nuove proprietà che non siano già presenti nei singoli elementi. Ma se vi sono termini/elementi combinati, che dipendono gli uni dagli altri, allora il complesso è diverso dalla somma delle parti e compaiono effetti nuovi.”
(P. Bridgman, “The Logic of Modern Physics”, The MacMillan Company, New York 1927)
Come si vede Pichon-Riviere applica il concetto di emergente alla psicopatologia ed alla teoria dei gruppi. Questa applicazione implica un mutamento della concezione deterministica della scienza che si ritrova nella psicanalisi. Infatti Pichon non fonda una scuola di psicanalisi ma di psicologia sociale.
Per questo cita gli autori nord americani come Cooley e soprattutto George Mead che intitola un capitolo del suo “Mente sé e società”: la creatività sociale del se emergente. Così un’altra corrente confluisce nel concetto di emergente elaborato da Pichon-Riviere è quella dell’interazionismo simbolico che concepisce la mente come un fenomeno emergente.
Ma nella concezione di Pichon-Riviere l’emergente è anche “la quantità che si converte in qualità” del materialismo dialettico.
Su questo tema ha lavorato soprattutto Josè Bleger. Armando Bauleo mi ha raccontato più volte di come Bleger e lui abbiano tradotto Georges Politzer e, nella bella prefazione alla prima edizione italiana di “Simbiosi e ambiguità”, Bauleo ricordava la luce che filtrava nello studio mentre lavoravano assieme.
Un altro autore che è confluito nella sintesi pichoniana dell’emergente è Henri Lefebvre ed il suo materialismo dialettico antidogmatico.
Bauleo nel suo approfondimento del concetto di emergente in Ideologia gruppo e famiglia cita Stephen Pepper e il suo testo “World hypotheses: a study in evidence”, Berkeley (CA) 1942, in cui il filosofo nordamericano precisa le quattro “ipotesi mondo”:1) il formismo, per cui esistono entità mentali che maturano senza il contributo determinante dell’ambiente; 2) il meccanicismo, che vede gli stimoli esterni come causa della crescita individuale; 3) l’organicismo, per cui l’individuo costruisce da sé il proprio sviluppo nell’interazione con l’ambiente; 4) il contestualismo che considera organismo e ambiente come elementi inseparabili di un’unica totalità.
L’emergente nella concezione operativa di gruppo è evidentemente nell’ipotesi contestualista. In quel testo Bauleo cita anche gli apporti della antropologia da parte di Nadel:
“l’emergenza, dunque è il risultato di una sintesi: è creatrice di reale novità, di un attualità o di una nuova proprietà di un genere inesistente prima dell’emergenza; e questa qualità o proprietà nuova ha efficacia causale e modifica l’ulteriore corso degli avvenimenti”
(“Lineamenti di antropologia sociale”)
Dunque Bauleo apporta novità al concetto di emergente, in primo luogo chiarisce che emergente non si confonde con portavoce e quindi indica una serie di interrogativi che si riferiscono al metodo clinico e di ricerca ed allo statuto epistemologico della concezione operativa di gruppo.
Il tema diventa centrale per l’attività del Centro di Ricerca Internazionale in psicologia sociale e di gruppo.
Il CIR ha sviluppato le sue ricerche negli anni 80 ed ha elaborato il concetto di emergente per raccogliere il materiale, i dati delle ricerche. Si è prodotta una scheda in cui veniva precisato come raccogliere gli emergenti di un gruppo, in un primo emergente, uno centrale ed uno finale.
Un bell’articolo di Horacio Foladori comparso nel n. 3 della rivista “Illusion grupal”, mette a punto la problematica attorno all’emergente citando anche la posizione di Gear e Liendo che nel loro psicoterapia della coppia e del gruppo famigliare considerano l’emergente nel gruppo come la risultante di 5 pressioni o forze: 1) la pressione laterale sintattica dei membri del gruppo,2) la pressione verticale della storia individuale, 3) la pressione che proviene dal compito 4) la pressione del coordinatore, 5) la pressione del fuori, ciò degli ambiti istituzionale e comunitario, io aggiungerei anche globale in cui il gruppo è inserito.
Come si vede torna il tema dell’emergere in un campo di un evento non routinario, che appare, come dice Bauleo e può dare un senso alla situazione.
Questa elaborazione, avviene quando l’emergentismo britannico viene dimenticato ed il concetto di emergente è abbandonato nel dibattito filosofico ed epistemologico.
Tuttavia gli studi sui processi non lineari aumentano così come aumenta l’interesse per l’auto organizzazione e la comparsa improvvisa ed imprevedibile di nuove forme. La meteorologia è un esempio molto interessante di questi studi, è in questa disciplina che cercando di prevedere l’andamento del tempo si è scoperto che piccole variazioni possono alterare il clima in modo imprevedibile.
Edward Lorenz parlò di questo effetto in un articolo del 1963 che poi divenne proverbiale con il titolo di una sua conferenza del 1972: “può, il batter d’ali di un farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?”. Si tratta del famoso effetto farfalla che ci trasporta dal determinismo alla teoria del caos.
Gli oggetti di studio oltre al clima diventano i fenomeni auto-organizzati ad esempio il volo di stormi di uccelli e le forme conseguenti, o la direzione che prende uno sciame di api.
Questi studi rimandano tutti all’idea di totalità ed alla causalità non lineare.
Nasce così il secondo emergentismo legato alla cibernetica ed alla teoria dei sistemi
In particolare voglio parlare della Intelligenza artificiale
Negli anni 90 ho coordinato un gruppo di ricerca nel campo della intelligenza artificiale, abbiamo lavorato per costruire un sistema esperto per diagnosi tipologica della tossicodipendenza partendo da quella che abbiamo chiamato logica della diagnosi operativa del Sert di Rimini.
Il lavoro è contenuto nel volume “Cambiare: il modello operativo del Sert di Rimini” dalla cui prefazione ho iniziato questa riflessione.
Il sistema si concentra sulla diagnosi attraverso un procedimento inferenziale che nel testo viene descritto da Giampaolo Proni .
Ci siamo concentrati soprattutto su quel procedimento che Peirce chiama abduzione o ipotesi. Cioè il caso o l’evento che si presenta alla osservazione non soggiace ad una casualità lineare per cui se è presente ‘questo’ allora ,applicando la regola che si è formata nelle osservazioni precedenti ed ha costituito una base di dati, sarà necessariamente ‘quello’ perché il nesso causale costruito con la casistica è abitudinario e soprattutto non coglie l’imprevedibilità.
L’ ipotesi può riferirsi ad una causa improbabile ma non impossibile, come il fatto che il terreno sia bagnato dagli elefanti e non dalla pioggia e necessita di una strategia operativa per confermarla o smentirla.
Ma questa logica del se/allora appartiene ad una dimensione cognitivi sta o simbolista dell’intelligenza artificiale, per questa teoria la mente funziona come una macchina di Turing cioè con un calcolo simbolico di algoritmi la cui forma è data dall’albero di Porfirio, nella nostra esperienza questa concezione si arresta di fronte alla contraddizione.
Per la logica formale l’elemento di novità deve per forza rientrare all’interno di una categorizzazione preesistente, un repertorio che tuttavia, per quanto vasto sia non può assolutamente esaurire la complessità. A questo proposito è indicativo lo studio di Umberto Eco sull’ornitorinco l’animaletto che emerge, è proprio il caso di dirlo, come una novità che contraddice tutte le classificazioni precedenti.
Per questo la logica della diagnosi operativa applicando il materialismo dialettico attribuisce come dice Ludovico Geymonat:
” (…) una nuova e singolarissima funzione alla contraddizione esistente fra momenti diversi del divenire; nel considerala cioè come un nesso che, da due momenti tra loro contraddittori, fa scaturire un nuovo momento il quale, collocandosi su un piano più elevato, elimina gli aspetti contraddittori dei due momenti precedenti”
(L. Geymonat, “Attualità del materialismo dialettico”)
Con questa logica abbiamo incontrato le reti neurali e il connessionismo.
Le reti non formano connessioni gerarchiche, i neuroni o nodi della rete hanno tutti la possibilità di comunicare con tutti, non esistono relè o centri che controllano la periferia, ogni centro è una periferia ed ogni periferia è un centro.
Non vi sono livelli gerarchici che filtrano le informazioni, le conoscenze sono immagazzinate in una serie di nodi in connessione fra loro che possono mutare.
Non c’è una corrispondenza anatomica con i centri della rete.
Se un centro viene distrutto, la conoscenza distribuita ne crea un’ altro. Così un caso o una situazione che contraddice la conoscenza accumulata, un evento imprevisto non manda la rete in loop cioè in una ripetizione automatica di tutte le combinazioni che non riescono a classificare l’evento, ma registra l’evento come un nuovo elemento di base per allargare l’area della conoscenza.
Esattamente come fa l’equipe che utilizza una epistemologia convergente per applicare diverse conoscenze disciplinari al caso emergente e sconosciuto.
Questa ricerca ci ha collocato nel nuovo emergentismo che ha messo a punto il concetto di emergente all’interno di un tipo di epistemologia della complessità .
A questo proposito Edgar Morin nel libro primo de il metodo pubblicato nel 1977 riprende il tema dell’emergenza e dell’emergente e scrive:
“L’emergenza è una nuova qualità rispetto ai costituenti del sistema. Ha dunque lo statuto di evento, poiché sorge in maniera discontinua una volta che il sistema si sia costituito, ha naturalmente il carattere di irriducibilità; è una qualità che non si lascia scomporre, e che non si può dedurre dagli elementi anteriori.”
(Cap. 2, L’organizzazione, III L’unità complessa organizzata. Il tutto e le parti. Le emergenze ed i vincoli.)
Torniamo dunque all’ emergente ed alla sua scienza si tratta di capire qual è la connessione fra gli eventi per organizzare come ci ha detto Bauleo “un corpo concettuale e le possibilità di una trasmissione affinché le pratiche non rimangano semplici aneddoti”
Immagino ora un gruppo di ricerca: ci riuniamo da diverso tempo con una certa frequenza. Inizia una persona a parlare del concetto di emergente, qualche domanda di qualcuno poi un po’ di silenzio.
In seguito brevi discorsi, precisazioni o divagazioni, racconti senza un tema preciso, associazioni.
Si sente che fuori sta per iniziare a piovere, si alza un po’ di vento, nessuno accenna al clima esterno.
Si continua a parlare.
Improvvisamente un evento: la finestra della stanza, che forse non era stata chiusa bene, si spalanca ed entra nel gruppo una folata di vento.
La conversazione si ferma e cade un silenzio inquieto qualcuno, dopo un po’ dice: “sembra che sia entrato un fantasma!” e di nuovo tutti tacciono poi una dice: “sai che stavo pensando a *** “ e fa il nome del loro maestro morto da qualche tempo che era stato nominato nella informazione.
Tutti si guardano, qualcuno è commosso fino alle lacrime, un altro sfoglia nervosamente le pagine di un libro, un’altra guarda la finestra aperta, uno dice: “non era lui che diceva che emergente era qualsiasi elemento a partire dal quale la situazione prende senso?”
Interviene un altro: “parlavamo fra di noi poi si è aperta la finestra ad un colpo di vento”
“Un emergente!”
“Ma è stato lui a dire che era entrato un fantasma”
“Già ma tutti lo pensavate non è vero? “
Qualcuno annuisce.
“Ma la causa della finestra che si apre è stato il vento e il vento non è certo un fantasma. Il vento è il movimento d’aria atmosferica…”
“Alt, tu stai parlando di meccanica il vento soffia è la causa; la finestra si apre ecco l’effetto”.
“Ma non ci spiega perché siamo stati colpiti dalla parola fantasma che non c’entra niente con la meccanica”.
“Già c’entra più con la ‘onirica’. Ah che simpaticone! ”
“Fatto sta che l’evento apertura della finestra è risuonato in un altro piano non solo in quello meccanico, per lo meno a me, ma mi pare anche ad altri il senso della apertura della finestra non è stato solamente un affare di corpi c’era sicuramente dell’altro”.
“È vero l’apertura della finestra è una apertura di una finestra, ma questa finestra che si apre in quel particolare momento ha un effetto incorporeo. Già non è una sola questione di corpi”.
“Vorresti forse dire che se c’è un effetto incorporeo c’è anche una causa incorporea”.
“Già sembra che Deleuze avesse ragione quando parlava di doppia causalità e di quasi causa”.
“Si ma lui ci fa tornare non solo a Hume ma addirittura agli stoici”.
“E allora? Che fate, cominciate con i Millepiani e il corpo senza organi?”
“E perché no! ”
“Ma io mi chiedo è evidente che la finestra che si è aperta ci ha colpito. Quindi il suo effetto non è stato solamente fisico in quello che Bleger chiama “campo ambientale” ma anche nel “campo psicologico” e poi quando tu hai detto “sembra che sia entrato un fantasma” l’effetto si è manifestato anche nel “campo di coscienza” ci è apparso evidente a chi stavamo pensando e tu hai dato parola a questo fantasia comune quando hai detto “sai che stavo pensando a ***” hai assunto il ruolo di portavoce, come dice Pichon. Ma allora emergente e portavoce non sono la stessa cosa?”
“Certo che no. Il portavoce è un caso particolare di emergente”.
“Ma con tutta questa dialettica e questo materialismo blegeriano mi stai confondendo”.
Grande confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente.
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