L’esplorazione psicoanalitica del mondo interno del paziente che si dispiega nella relazione terapeutica tramite le vicissitudini del transfert e del contro-transfert, così come la specifica attenzione all’ incontro tra mondo interno e realtà esterna, tra soggettivo ed oggettivo, fa si che il linguaggio psicoanalitico non possa essere solo quello della scienza, rivolto al misurare ,a stabilire rapporti causa-effetto e ad esporre fatti oggettivi.
La psicoanalisi si è progressivamente dotata di un linguaggio relazionale, empatico, rivolto, per dirla con la fenomenologia, più al comprendere che non al capire,un linguaggio per operare una rielaborazione del Mondo che sia affettiva prima che cognitiva, capace di fornire validazione e ri-conoscimento all’ esperienza e di dare parole che sostengono il sè impegnato ad esperire.( Quando si sta vivendo una esperienza, la mente procede per associazioni e sensazioni non potando contare su categorizzazioni della esperienza che è in corso) .
Scrive Claudio Neri : ” Gli psicoanalisti italiani, per un’antica tradizione che risale a Federn e Weiss e che è stata portata avanti da Perrotti, Musatti e Servadio, sono stati allenati a monitorare momento per momento ciò che accade in seduta; in particolare il mutare di sensazioni, atmosfere, vissuti corporei. Essi cercano con costanza il contatto emotivo con il paziente, seguono accuratamente il minuto scambio – fatto di silenzi, gesti, cambiamenti nello spazio e mutamenti della postura – tra il paziente e loro stessi, che sostiene, modifica e mette a punto la relazione terapeutica. Le percezioni vengono annotate nella mente dell’analista come osservazioni utili per seguire lo sviluppo della seduta; esse però possono anche non essere annotate come osservazioni, ma trasformate in immagini, fantasie e narrazioni che al momento opportuno potranno venire condivise (o meno) con il paziente.”
Io credo che all’ analisi ed alla psicoterapia psicoanalitica serve un linguaggio in grado di rappresentare i fenomeni che avvengono nell’ area intermedia dell’ esperienza. Intendo per area intermedia sia quella compresa tra il polo soggettivo e quello oggettivo dell’ esperienza, che tra il Sé e l’ Altro da sé. Per comodità espositiva, facendo riferimento alla concettualizzazione proposta da Winnicot, definisco questo linguaggio come :
linguaggio dell’area transazionale.
Certo non può essere il solo utilizzato dal terapeuta che deve saper usare anche parole precise , in grado di definire traumi avvenuti,promuovere confronti ruvidi e dolorosi esami di scomode realtà.
Il linguaggio dell’area transizionale è basato più sul tatto che non sulla presa, ha il fine di rendere pensabili emozioni di cui non si era fatta esperienza., ha valenze poetiche. Gioco simbolico, risonanza affettiva,condivisone del sentire,produzione di associazioni ed immagini …… sono tutte qualità che definiscono sia questo linguaggio sia la poesia stessa.
Con la poesia ” Disturbo dell’ umore” ho cercato di dare voce al bisogno di comprensione di un paziente diagnosticato in base ai criteri oggettivi forniti dal manuale DSM IV, come narcisista e ciclotimico ( il cui problema psico-patologico principale è di non riuscire a riempire il vuoto ).
“Disturbo dell’ umore”
Mi vergogno del mio umore trapezista
al suono dell’applauso alto volteggia,
basta una svista un fischio cade in basso
più spesso in loco d’ogni luce muto.
Facile per te comodo seduto
sulla poltrona, trono d’analista,
dirmi: – deve accettare l’insuccesso –.
Provaci tu ad esistere nel vuoto
strizzacervelli che vuoi darmi un voto.
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Il rimando concettuale è , innanzitutto, all ” area transizionale” descritta da Donald W. Winnicot come l’area del gioco dove soggettivo ed oggettivo si incontrano consentendo la creatività. Area che si forma solo se all’ inizio della propria vita il bambino incontra una madre sufficientemente buona,(o comunque un care-giver sufficientemente buono). E’ da quell’ incontro che scaturisce la possibilità di un dialogo tra mondo interno e realtà esterna.
Molti pazienti non sono in grado di essere creativi senza correre il rischio di delirare.
Molti non riescono ad immettere creatività nel loro rapporto con il reale che risulta così opprimente e devitalizzato e con cui possono avere solo un rapporto imitativo e compiacente.
Scrive Winnicot che la creatività “è una sorta di colorazione dell’intero atteggiamento verso la realtà esterna”.
“La creatività consiste nel mantenere, nel corso della vita, qualcosa che appartiene all’esperienza infantile: la capacità di creare il mondo”.
Come poeta ( non residente), quando scrivo sperimento il piacere di abitare l’area transizionale, il piacere del gioco simbolico che mi consente di personalizzare il mio rapporto con il mondo immettendo in esso la mia soggettività. E’una possibilità inusuale quella che dona la poesia in questi tempi concreti dove efficacia, efficienza, “evidence based” sono valori assoluti.
Quando un poeta nomina un oggetto, quell’oggetto lo rappresenta, diviene importante e significativo ,acquista vitalità anche se si tratta di una cosa morta, si pensi ad esempio agli “ossi di seppia” di Montale.
Un esempio clinico tra i tanti possibili dell’importanza dell’area transizionale per riuscire ad immettere la propria soggettività nel mondo, ricrearlo senza però perdere il rapporto con la realtà condivisa, insomma senza delirare, lo fornisce una mia paziente: L.
Il primo incontro con L è iniziato in modo drammatico e ha comportato un ricovero obbligatorio in psichiatria.
Quando l’ho conosciuta L era in avanzato stato di gravidanza, allontanatasi da casa vagava per la città. Delirava, negava che il padre del bambino che portava in grembo avesse avuto qualsiasi ruolo nel concepimento.
Quell’uomo l’aveva delusa, non poteva essere lui il genitore di suo figlio.
L’aveva lasciato ed ora affermava che il concepimento era il frutto della sua unione con una persona speciale individuata in un cantautore famoso, ma a volte questa persona diveniva una sorta di entità immateriale come lo Spirito Santo.
Ora L sta molto meglio, dipinge e scrive poesie grazie all’arte riesce a separare e mettere in contatto il mondo interno degli affetti e dei desideri con la realtà esterna e condivisa.
Nella sua vita c’è ancora la presenza sempre più immaginaria e sempre meno delirante di un compagno ideale, a volte ne avverte la presenza, in passato ne sentiva anche la voce,ma riesce sempre più a collocarla nel mondo della fantasia come avviene quando lo descrive con struggenti parole d’amore in una poesia che conclude così: “Tutti mi dicono che non esisti – tu esisti nel mio desiderio”.
Delirio e poesia si escludono reciprocamente, dove ci sono metafore e similitudini non c’è il delirio. Quando Dino Campana scriveva i “Canti orfici” era strano, eccentrico, ma non matto, Quando è impazzito non ha più scritto una sola poesia.
Con la poesia L pare dimostrare di riuscire a ritrovare l’accesso all’area transazionale, per dirla con Winnicot può dare la propria coloritura al reale, mantenendo però un rapporto con esso.
All’opposto di chi come L delira ci sono quei pazienti iper-oggettivi descritti da Winnicot come :”Falsi Sé” che con il reale possono solo avere un rapporto imitativo, per cui la vita è un susseguirsi di accadimenti senza risonanza interiore, vivono nella oggettività e il loro raccontarsi è solo cronaca di fatti.
Al rapporto imitativo con la realtà si riferisce la mia poesia:
“Normopatia”
Abbiamo pensieri già pensati
ognuno appeso dentro alla mente
pronto all’uso come un indumento
nell’armadio, solo da indossare.
Per quanto poi riguarda i sentimenti
ci affidiamo al telegiornale
che trasmettendoci immagini cruente
ci mostra il mostro che è da odiare,
c’è poi la moda in obbedienza a Dio
di perdonarlo, buoni, per Natale.
Infine i consigli per gli acquisti
danno prove che il tripudio esiste
se l’intestino ritorna puntuale
vincendo la stipsi che fa tristi.
Noi si lascia tutte agli anormali
le ciarle degli psicoanalisti
Oltre a Winnicot molti autori , (tra i quali Balint, Bion, Fonaghy….) hanno dato fondamentali apporti per definire un linguaggio terapeutico rivolto al dare forma alla esperienza così come avviene nell’ area di transizione tra soggettivo ed oggettivo, mondo interno e realtà esterna, quell’ area da cui origina il nostro sé ed il nostro flusso di coscienza.
Per non appesantire il discorso mi limito a citare solo Russel Meares che in “Intimità ed alienazione” scrive:
“Durante il gioco simbolico il bambino prende le cose del mondo che non sono le sue e le trasforma … la foglia in una barca, il bastone in un uomo, la pietra in un mostro”. “Nel gioco dunque gli oggetti alieni del mondo vengono trasformati in cose che vengono avvertite come mie. Sono permeate … di una specie di calore e di intimità”.
“Il gioco simbolico, il linguaggio particolare e la forma del gioco del bambino sono espressioni di una particolare forma di attività mentale che trasforma sia gli oggetti sia le parole del mondo esterno nei pensieri e nelle parole del mondo interiore e personale”.
Il gioco simbolico porterà poi alla possibilità di sviluppare quello che Meares definisce il linguaggio del sé, cioè un linguaggio non lineare, basato sulle associazioni, che corrisponde al monologo interiore.
Meares indica la necessità per il terapeuta di: “creare un’atmosfera di connessione con un’altra persona che permetta al gioco simbolico di venire alla luce e che è necessaria per la nascita di una vita interiore e per giungere alla sensazione di essere vivi. E’ questo, dunque il primo compito di un terapeuta”.
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Possiamo tutti testimoniare che quando cerchiamo di definire una esperienza nuova, affettivamente importante ,quindi non ancora codificata da termini ormai acquisiti, ci scopriamo a cercare un linguaggio con aspetti poetici, associativo, non linearmente logico e quando ci riusciamo ne traiamo piacere e sentiamo che quella esperienza entra a fare parte di noi.
Non sono in grado di fornire una definizione esaustiva dell’ aggettivo “poetico”. Posso affermare che il linguaggio poetico cerca l’ incontro tra immaginazione, sensorialità e significato .
In questo articolo propongo alcune annotazioni facendo riferimento alle figure retoriche mediante le quali la poesia prende forma e arriva al cuore del lettore .
La metafora comporta un trasferimento di significato nel campo semantico, quindi consente di parlare degli affetti senza imprigionarli subito con parole troppo oggettive, o scontate. Riporto una poesia di Goethe che è una ottima metafora dei limiti di un approccio conoscitivo teso ad afferrare la mente per esaminarla scientificamente :
Attorno alla fonte volteggia
La cangiante libellula;
m’incanto a contemplarla:
ora è scura ora è chiara,
come il camaleonte
da rossa si fa azzurra
e da azzurra a verde.
Se potessi vedere
da vicino le sue tinte!
Frulla si libra, è sempre in moto!
ma zitto, ora si posa sul salice.
ecco, ecco, sono riuscito a prenderla!
e adesso che la osservo attentamente
vedo solo un blu cupo e malinconico-
Ben ti sta, analista delle tue gioie!
Goethe
La metafora è largamente impiegata in analisi, ricordo a tale proposito che per Stern è uno strumento terapeutico di primaria importanza e la metafora terapeutica può divenire una ” chiave” che consente di comprendere e cambiare la vita di un paziente.
La metafora in psicoanalisi non può certo essere “ermetica” e deve riproporre al paziente elementi che appartengono a lui ed alla relazione paziente/analista, evitando una colonizzazione della mente del primo componente della coppia analitica,con parole che esprimono solo la creatività del secondo.
Un buon esempio di utilizzazione della metafora nell’ ambito del rapporto psicoterapeutico ce l’ha fornito la collega dott.ssa Laura Lazzarini esponendo nel Gruppo di Studio e Ricerca Psicoanalitico di Rimini il caso di un paziente da lei seguito.
Il paziente, segnato da gravissimi traumi passati ed attuali, si difende dalla depressione utilizzando difese paranoidi.
La collega gli propone l’ immagine metaforica di un cecchino in uno scenario di guerra
La metafora racchiude tutta la storia del paziente, contiene il suo incontro con la morte, la paura,la solitudine ,l’ essere sia vittima che carnefice, l’ angoscia persecutoria che lo costringe alla costante necessità di riconoscere i “nemici”.Parla di lui e del rapporto terapeutico dove l’ analista corre il rischio costante di venire fatta fuori.
La metafora è nata dall’ incontro tra analista e paziente, comunica al paziente che è contenuto nella mente dell’ analista, quindi è già terapeutica.
La Dott.ssa Lazzarini ha avvertito la necessità di parlare in gruppo del paziente per riuscire a capirlo in pieno, eppure con quella metafora ha dimostrato di averlo già perfettamente compreso.
La metafora consente di veicolare una comprensione relazionale, affettiva, basata sull’ incontro .
Scriveva Freud ” l’ inconscio si rivela in simboli o metafore e la psicoanalisi per entrare in contatto con l’ inconscio cerca di usare il suo linguaggio metaforico. ”
L’ originario approccio freudiano prevedeva un uso delle metafore da parte del terapeuta come di una illustrazione a mezzo ” di una immagine esemplare, intuitiva e calzante … di una verità che tuttavia esiste in sé al di là del gioco e della forza espressiva della metafora ”
Oggi, in una visione più moderna e complessa della realtà e del linguaggio “la metafora può apparire di per sé forma di conoscenza, di costruzione di realtà “( Gian Paolo Scano).
Scrive a tale proposito Umberto Eco : ” Quando le figure retoriche sono usate in modo creativo esse non servono ad abbellire un contenuto già dato ma contribuiscono a delineare un contenuto diverso ” .
La parola poetica stabilisce accostamenti, collegamenti, correlazioni tra pensiero, affettività, sensorialità ,tra diverse percezioni e rappresentazioni del reale, tra affetti contrastanti…
Gli accostamenti si realizzano mediante similitudini.
La similitudine, è il creare associazioni di idee mediante l’uso del come
“si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.”
Giuseppe Ungaretti
Questa , invece l’ ho scritta io:
“Lo psicotico”
Per ogni oscuro psicotico,
la vita è un atto eroico
come stare nel mesozoico
tra le zampe d’un dinosauro,
o nel labirinto minoico
tra le corna del Minotauro.
Gli accostamenti poetici si possono realizzare anche mediante altre figure retoriche tra cui sinestesie ed ossimori .
La sinestesia consiste nell’ accostamento di termini che appartengono a sfere sensoriali diverse.
” Io venni in loco d’ ogni luce muto”( Dante Alighieri)
Questa sinestesia credo che possa essere una efficace descrizione poetica dell’ inferno della depressione grave e l’ ho utilizzata come terapeuta e come poeta.
L’ ossimoro è una figura retorica che accostando termini opposti consente di dare forma con potenza espressiva e con immediatezza a sentimenti contrastanti.
Ci sono pazienti che espongono i terapeuti ad un- silenzio assordante-
terapeuti che trasmettono ai pazienti un -freddo calore-
Le ultime due annotazioni riguardano la sensorialità ed il simbolo
Antonello Correale descrivendo quei pazienti che non riescono ad inscrivere affetti caotici e travolgenti in una griglia linguistica, a causa di traumi subiti durante la loro crescita, afferma:
“A me sembra che per affrontare il tema del trauma e delle esperienze traumatiche ripetitive noi ci dobbiamo dotare di un linguaggio che sia sufficientemente poetico. Intendo per poetico un linguaggio che sia molto impregnato di sensorialità, ma una sensorialità che ha delle valenze narrative, delle valenze comunicative, per cui all’interno delle immagini sensoriali ci sia come una apertura verso una scena più ampia che è prevalentemente la scena che la persona cerca di raccontare”.
Correale definisce il linguaggio poetico come impregnato di sensorialità. L’attenzione alla sensorialità del linguaggio credo che sia un altro punto di incontro tra poesia e psicoanalisi e forse tra psicoanalisi ed estetica .Vale la pena di ricordare che Boumgarten , fondatore dell’ estetica moderna definisce l’ estetica come la scienza della conoscenza sensibile, dando alla rete sensoriale una sua specifica ed autonoma funzione conoscitiva.
E’ nel DNA psicoanalitico, a partire dal primo modello pulsionale l’ attenzione al rapporto mente-corpo, sensorialità-pensiero.
Possiamo pensare alle prime interpretazioni psicoanalitiche sottese solo dalla teoria pulsionale, (con i continui rimandi al corpo ed alla libido) anche come a delle metafore intrise di sensorialità. La psicoanalisi credo che spesso presti una attenzione, forse intuitiva, all’ aspetto sensoriale della parola , inteso non tanto come suono e ritmo, ma come la possibilità della parola di evocare sensazioni percettive.
Pensiamo a termini semplici che usiamo con i nostri pazienti quali : si sente leggero, si sente appesantito, o a interpretazioni complesse,ad es. “a quanto pare le mie parole le sono risultate indigeste ed ora vuole vomitarle”. Tutte queste espressioni permettono un collegamento comunicativo con quella prima consapevolezza del sè che è innanzitutto sensoriale e percettiva.
Scrive Lucia Pancheri : “la sensorialità influenza immediatamente lo stato di coscienza e il senso di sé, forse perché le percezioni sensoriali possiedono una vividezza e un’immediatezza che funzioni intellettuali più complesse, come il pensiero, non possiedono e sono in rapporto più diretto con le emozioni.”……..
Di sensorialità si è occupato Bion; nel suo complesso e affascinante modello psicoanalitico teorizza che gli stimoli sensoriali devono essere trasformati dalla funzione mentale chiamata alfa, una funzione relazionale che nasce all’ inizio del rapporto tra madre e figlio, grazie alla capacità della madre di contenere le emozioni e le esperienze sensoriali che il bambino non riesce ad elaborare.
I pazienti psicotici hanno un difetto della funzione alfa che li rende esposti al rischio costante di impazzire per una sovra-stimolazione sensoriale ed emotiva. Suggestiva a questo proposito l’ immagine del “girasole impazzito di luce” proposta da Montale.
Dall’associazione tra questa immagine, il modello di Bion ed i pazienti che si chiudono in casa, definiti in Giappone Hikikimori è nata la mia poesia
“Hikikimori”
Il dolore scuce la mente
aprendola in ampi fori
così che il Sole fuori
entra lancinante e la violenta.
Come il fiore di Montale
pazzo di luce, cerca l’ombra
chiude gli scuri alla finestra
il pallido ragazzo Hikikimori.
Servono parole poetiche
nella sua stanza ingombra,
chiedono, arresi, i genitori
farmaci da dargli di nascosto
insapori inodori incolori.
In psicoanalisi come in poesia vengono fornite sempre e solo parole, cioè simboli – Il simbolo rimanda ad un’assenza.
La psicoanalisi e la psicoterapia psicoanalitica possono fornire al paziente parole che l’ accarezzano ma non carezze reali. Tutta la comprensione possibile , il tatto, l’ empatia, la vicinanza sono sempre e solamente mediate dalle parole, mai da un incontro di corpi e/o dalla assunzione di un ruolo diverso di quello del terapeuta. Parole nate dall’ incontro tra terapeuta e paziente che si svolge sempre all’ interno della cornice del setting., quindi con un orario programmato, posizioni mantenute, il pagamento…. Un paziente esprime intense angoscie abbandoniche, il terapeuta stabilisce un caldo contatto empatico, ma l’ ora finisce e arrivederci alla prossima volta, al paziente rimangono le parole.
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Psicoanalisi e poesia sono entrambe impegnate nel darci la possibilità di esistere attorno al sentimento di mancanza. (In particolare la psicoanalisi Kleiniana ha teorizzato che la creatività nasce a partire da vissuti depressivi di mancanza e dalla accettazione di questi.)
Un piatto di spaghetti senza vongole diventa un piatto di “spaghetti alle vongole scappate”, questa ricetta campana è una produzione simbolica , è una operazione poetica, è ” presenza fatta d’assenza”( e ” presenza fatta d’ assenza” è un ossimoro di J. Lacan .)
Accontentarsi dei simboli non è cosi scontato, a tal proposito propongo in chiusura le mie due poesie :” Trauma della nascita” e “Dipendenza dallo psicoanalista”.
“Trauma della nascita”
Cianotico uscito dalla pancia
mi ha dato il benvenuto l’asfissia
neonato ho conosciuto l’ansia.
Io del grembo conservo nostalgia:
senza avere fatto l’esperienza
della strettoia nel fondo dell’imbuto,
al suono del battito cardiaco
fluttuavo in una danza lenta
Cresciuto, ho un analista tondo
nel suo lettino cerco la placenta.
“Dipendenza dallo psicoanalista”
Lo psicoanalista non va in ferie
sarebbe imperdonabile mancanza
come per un dentista che con la carie
aperta ti lascia, va a casa e pranza.
Un maestro di sci nel fuoripista
si stanca, ti lascia alle intemperie.
Il mio se la può scordare la vacanza
se non fornisce motivazioni serie.
Se vuole il mare, prima mi guarisca.
Lo tengo chiuso a chiave nella stanza.
Bibliografia
Fernando Bollino, ” Nuove lezioni di estetica” CLUEB Bologna 2011
Antonello Correale, “Memoria implicita, area traumatica e schemi emozionali”, on line in Gruppo di studio per il disturbo border line di personalità
Umberterto Eco, ” Trattato di semeiotica generale”, Boringhieri Milano 1975
Peter Fonagy, ” La mentalizzazione nella pratica clinica”, Raffaello Cortina Milano 2010
Russel Meares,” Intimità e alienazione “, Raffaello Cortina Milano 2005
Claudio Neri, ” La nozione allargate di campo in psicoanalisi”, Rivista di Psicoanalisi 2007 vol. 1
Lucia Pancheri, ” Analisi della sensorialità nel romanzo il Profumo di Patrick Suskind”, On line in Psychomedia
Claudio Roncarati, “La fata fatua e lo psichiatra”, Co-edizione CFR – Alpes Roma 2011
Donald W. Winnicot,
- “Gioco e realtà”, Armando Roma 1974
- ” Dalla pediatria alla psicoanalisi, scritti scelti!”, Martinelli Firenze 1981